Il prosciutto crudo

In media, ogni italiano consuma 3 kg di prosciutto crudo all’anno. Gusto, salute e praticità sono la chiave di tanto successo, ma per averli garantiti è necessario saper scegliere con attenzione…

Come si fa il prosciutto crudo? Si salano le cosce di maiale e si mettono a stagionare. Più facile di così… Ma è una semplicità solo apparente: la qualità che ha reso celebre nel mondo il prosciutto italiano è il risultato di un’esperienza maturata nel corso dei secoli.

La dose giusta di sale in rapporto al peso della carne, la quantità di grasso, il tempo esatto di salatura, il controllo scrupoloso delle condizioni ambientali… sono tutti elementi determinanti e nient’affatto facili da armonizzare, per questo è sempre importante valutare con attenzione la qualità del prodotto prima di acquistarlo.

Uno sguardo attento
Il marchio DOP o IGP sulla confezione è una prima assicurazione di qualità controllata. Ma bisogna tenere presente che il marchio, se da un lato garantisce l’assenza di difetti, non è di per sé garanzia della massima qualità possibile.

La stagionatura, per esempio, incide in modo importante sulle caratteristiche del prosciutto: per quelli DOP la legge specifica il periodo minimo di stagionatura, ma le realizzazioni più pregiate, in genere, lo superano abbondantemente.

A fianco dei prosciutti DOP, in salumeria si trovano una quantità di altri prosciutti crudi diversissimi tra loro per qualità e prezzo. Uno sguardo attento è importante per la valutazione della loro bontà, e la prima cosa da osservare è il cartellino con il nome.

Da due anni a questa parte, la denominazione dei prosciutti crudi comuni è regolata dalla legge. Si può chiamare prosciutto “crudo stagionato”, solo quello ottenuto con la tecnica tradizionale, basata su salagione a secco, e stagionato (a non più di 22°C) per un tempo di produzione complessivo di almeno 7 mesi (i prosciutti più piccoli) o di 9 mesi (quelli che pesano più di 8 kg).

I prosciutti, lavorati in fretta, iniettando salamoia direttamente nelle cosce, e messi in commercio dopo maturazioni velocissime, accelerate artificialmente, si possono ancora trovare nei banchi di salumeria, ma solo con il nome generico di “prosciutto crudo”, senza alcun riferimento alla stagionatura.

Un altro accorgimento è osservare le dimensioni: i prosciutti più piccoli sono meno buoni (il prodotto migliore viene dalle cosce del maiale pesante, con una buona quantità di grasso di copertura).
Al taglio le fette non devono presentarsi appiccicose (indice di breve stagionatura) e la carne deve avere colore uniforme, compreso tra il rosa e il rosso, orlata e inframezzata da una buona quantità di grasso bianco, a garanzia della morbidezza e del sapore (non acquistare mai un prosciutto italiano il cui grasso sia ingiallito).

A volte, nei prosciutti conservati a lungo, si possono osservare sulla la superficie di taglio delle chiazzature bianche irregolari, dovute a granuli di una sostanza (la tirosina) che si forma naturalmente nella stagionatura prolungata. Non è un’alterazione, non incide sul gusto e c’è chi la considera un segno della genuinità della lavorazione.

L’aroma e il gusto
Un sapore eccessivamente salato costituisce sempre un difetto, così come l’eventuale sentore di carne cruda. Oltre che da cattiva lavorazione e insufficiente stagionatura, odori e sapori anomali possono essere causati anche dall’uso di maiali non castrati o di suini alimentati con oli vitaminici irranciditi.

Un difetto decisamente grave è la putrefazione, determinata dalla bassa qualità delle carni o da errori nella preparazione e nella maturazione. Facilmente riconoscibile quando si affetta il prodotto (se in fase sufficientemente avanzata produce colorazioni anomale, odori e alterazioni nella consistenza), la putrefazione può essere svelata anche nell’acquisto dei prosciutti interi semplicemente infilando uno stecchino nell’interno per scoprire, dall’odore che esso emana, l’eventuale alterazione della carne.

Un alimento sano
Negli ultimi dieci-quindici anni la composizione della carne di maiale è notevolmente cambiata, in meglio, grazie alle tecniche di selezione e ai progressi nell’allevamento.

Il maiale “moderno” non contiene più colesterolo del manzo o del pollo, la sua carne è più magra di un tempo ed è molto cresciuta la percentuale di grassi “buoni”, di tipo insaturo.

Il miglioramento della materia prima si riflette sulle qualità nutritive del prosciutto, salume non troppo calorico (un etto dà più o meno 230 kcal) ricco di proteine (sono il 25%), di ferro e di vitamine del gruppo B. Le proteine del prosciutto, oltre a essere di alta qualità nutrizionale, risultano anche particolarmente digeribili, grazie all’effetto positivo della stagionatura che ne comporta una parziale idrolisi (una sorta di predigestione).

Unico punto debole, tra tante virtù: il sale. In un etto di prosciutto trovi più di 2 grammi di sodio, una quantità certamente non trascurabile che impone moderazione nel consumo.

fonte buonalombardia

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