Ill Figomoro di Caneva (Pn)

La coltivazione del fico nero, localmente chiamato Figomoro, è diffusa nel comune di Caneva da tempi remoti, come dimostrano numerose testimonianze. Il particolare microclima dell’area pedemontana, collocata a ridosso tra le Prealpi e la pianura veneto-friulana, la diversità dei sali minerali del sottosuolo, tra cui tanto calcare, potassio e magnesio, oltre alla collocazione delle piante in declivi decisi, conferiscono ai frutti della zona irripetibili caratteristiche qualitative ed organolettiche, e tali comunque da renderlo famoso e ricercato. Il suo pregio è storicamente riconosciuto, tanto d’aver costituito un’importante disponibilità alimentare per le sue doti energetiche e medicali, soprattutto in tempi di carestie o “difficili”. Le principali note storiche della sua presenza, si ritrovano dal 1400 circa sui primi documenti di vendite, affittanze o doti, che erano solite accompagnare i primi atti notarili ritrovabili, ma già dalla nascita della città di Caneva (1139) per certo se ne ha nota. Dal XIV° al XIX° secolo e successivamente fino a qualche decennio fa, la sua esistenza era nota nella Serenissima Repubblica Veneta, nel Bellunese e nel Patavino, quando è citato nei documenti come “frutto speciale che i porta da Caneva”.

Testi particolari – quali gli “Annali del Friuli” scritti da Francesco di Manzano, (vol IV pag 177 (Archivio storico di Udine) – ne riportano cenni nelle pagine in cui descrivono i costi di alcuni prodotti d’allora. (…Dal mese di marzo 1324 alla fine di luglio ci fu siccità, se si eccettua il principio di giugno in cui caddero grandi piogge. Dal 22 luglio, alla natività del signore, non vi fu quasi alcuna pioggia, e diremo che tutto l’anno fu secco, con grande abbondanza di grani e vini. Il formento valeva 12 grossi, il miglio 6, il sorgo 2. Un’oncia di vino 6 grossi. La primavera fu precoce: in aprile v’era quantità di rose e molte ciliegie a maturazione; anche le uve, prima della festa di Santa Margherita (10 Giugno) si rinvennero mature; il fior di fico lo si trovava mangiabile diggià ai 8 di giugno…). Marchesini (Annali di Sacile, pag 910/911) riporta la ricetta di un “antichissimo e miracoloso antidoto contro la peste” a base di fichi “togliesi noci comuni secche n° 10 -Fichi secchi n° 20 – Frondi di ruta pupillo 1 Sale comune mezza dramma – mischia et ogni cosa siano benissimo peste et incorporate tanto, che si faccia in modo di littorio, da pigliare ogni mattina a digiuno, tanto che sia due noci per volta, et questo massimamente per preservare, sopra bevendo poi tre cucchiai di ottimo vino et aromatico” .

Recenti ritovamenti presso l’archivio storico di Sacile (lavoro tutt’ora in corso), dimostrano l’importanza della pianta, annoverata tra le fonti di reddito e stabiliscono incontestabilmente la presenza in luogo del fico ed il suo valore pratico. A questo riguardo bisogna fare una considerazione chiarificatrice sull’importanza sempre crescente che ne ha determinato e segnato il grande sviluppo, in quanto, a parte il reddito che talora generava – in mercati contraddistinti dal baratto – essa venne a costituire una sicura fonte d’approvvigionamento alimentare per un periodo apprezzabile dell’anno, in una situazione sociale chiaramente sconvolta dal continuo transito in luogo di eserciti di varie etnie (Unni, Longobardi,Turchi….., al tempo delle calate dei barbari, quindi tedeschi, slavi, francesi….., durante tutto il medioevo, quindi nel periodo dei comuni con Goriziani, Trevisani, Veneziani….) che evidentemente razziavano in continuità tutto il possibile, il più delle volte dimentichi – o non usi al consumo – di quello che giocoforza diventa quindi importante …il fico, nell’unica varietà esistente in luogo il “FIGO MORO” o più anticamente chiamato “LONGHET”.
E’ il punto più delicato dell’intero ciclo, va eseguita meticolosamente ed assolutamente a mano, pezzo per pezzo, staccando l’intero picciolo, e non rovinando in qualsiasi modo la buccia, sulla quale la presenza di una sola rottura in lunghezza che cicatrizza spontaneamente (sui fioroni) ne garantisce l’esatta maturazione. Il prodotto deve essere posizionato verticalmente, non troppo stretto l’uno agli altri, in raccoglitori di facile aerazione. La conservazione è possibile solo per breve tempo e si può prolungare per un massimo di 2/3 giorni prima dell’avvio alla vendita, in frigoriferi a temperatura di 4 o 5 C° e umidità relativa e 90%. Le produzioni industriali di composte, conserve sciroppate, sottospirito, distillati ecc, legate ad antiche ricette locali, molto apprezzate dal mercato, oltre che per il facile abbinamento a qualsiasi cibo, per la certezza della superiore qualità proposta. Questa trasformazione però, risulta particolarmente delicata essendo esso un frutto molto ricco in zuccheri invertiti che, se non raccolti al momento giusto, danno luogo ad acidità. Uno solo di questi, infatti, può rovinare consistenti quantità di prodotto trasformato

Involtini di fico nero
Tempo occorrente 15’ – dosi per 4 persone
8 fettine di fesa di vitello tagliate a circa 4 mm di spessore con l’affettatrice
2 fichi neri grandi tagliati a metà
(in alternativa sciroppati di Figomoro da Caneva ben sgocciolati)
70 gr pane garttuggiato
1 tuorlo d’uovo
8 fettine di prosciutto di San Daniele
mezza cipolla, una grattuggiata di noce moscata, un cucchiaino di succo di limone,
sale, pepe, olio di oliva extravergine
Togliete il picciolo ai fichi e divideteli per quatto sulla lunghezza.
Mescolate il pane grattuggiato e la rossa d’uovo, sbattuta molto bene con qualche goccia di
limone e un po’ di noce moscata, sale e pepe.
Immergetevi gli spicchi di fico e arrotolatevi attorno quindi, prima la fettina di fesa di vitello
e poi, sopra, una fettina di prosciutto di San Daniele, fermate il tutto con uno stuzzicadente.
Cuocete, senza far attaccare la carne, in un tegame con pochissimo olio extravergine nel
quale avrete fatto imbiondire un po’ di cipolla che poi toglierete.
Servite con insalata verde fresca, o insalata di pomodori a coste e cetrioli,
Accompagnare a vino rosso: cabernet o franconia.

fonte ersa

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