L’indiscussa regina dei dolci veneziani, “ea fritoa”

Indiscussa regina dei dolci veneziani, la frittella, o meglio “ea fritoa”, si presta a vivere, con il Carnevale, il suo momento magico. Da sempre considerata il dolce nazionale della Repubblica Serenissima, “gustata” non solo a Venezia, ma in tutto il territorio veneto friulano, fina quasi alle porte di Milano, “ea fritoa” veniva prodotta esclusivamente dai fritoleri, che quasi a sottolineare questa loro ufficialità, nel ‘600 si costituirono in associazione.

Composta da settanta “fritoleri”, ognuno con una propria area dove poter esercitare in esclusiva l’attività commerciale e con la garanzia che a loro potevano succedere solo i figli, la corporazione rimase attiva fino alla caduta della Repubblica lagunare, anche se l’arte dei “fritoleri”..scomparve definitivamente dalle calli veneziane solo sul finire dell’ottocento.

 
“Hanno sempre in sul davanti un pannolino che s’assomiglia al grembial delle donne, che sembra essere venuto allora fuor dal bucato. Tengono in mano un vasetto bucherellato con cui gettano del continuo zucchero sulla mercie, ma con tal atteggiamento che pare vogliano dire: e chi sente l’odore e il sapore di questa che noi inzuccheriamo?”. Così il nobiluomo veneziano e noto economista veneziano Pietro Gasparo Moro Lin dipingeva questi particolari artigiani della cucina, mentre lo storico veneziano Giovanni Marangoni scriveva: “Cuocitori e venditori a un tempo, impastavano la farina sopra ampi tavolati per poi friggerle con olio, grasso di maiale o burro, entro grandi padelle sostenute da tripodi. A cottura avvenuta, le frittelle venivano esposte su piatti, variamente e riccamente decorati, di stagno o di peltro. Su altri piatti, a dimostrazione della bontà del prodotto, venivano esibiti gli ingredienti usati: pinoli, uvette, cedrini”.

Molti, d’altra parte i poeti e gli scrittori veneziani che in passato si interessarono, con i loro versi o i loro racconti, a questo dolce semplice nella sua ricetta e confezione, ma ancor oggi gradito non solo ai bambini. Già Carlo Goldoni, nel 1756 ne parla nella Commedia “Il Campiello”.

Ancora, nel 1841, Moro Lin, in una sua memoria, così ne descriveva la ricetta: “Composte di fior di farina di formento, rimpastate a lievito unito i pignoli e a zucchero, con uva che pendeva dai tralci delle viti calabre, vengono collocate nell’olio bollente”. E l’economista veneziano, nonché noto buongustaio, Ugo Trevisanato all’inizio del secolo scorso così descriveva le regole in versi rimasti famosi: “La dev’essere gustosissima, Cotta ben e ben levada, – Un pocheto inzucarada. Calda… o freda se volé”.

Anche se l’autentica frittella rimane comunque quella veneziana, in tutto il Veneto si diffusero ricette locali, dove troviamo quelle confezionate con frutta immersa nella pastella o con fiori o con ortaggi, in alcuni casi perfino con erbe spontanee di prato e di monte e ancora con il riso e la polenta. Ma l’influenza della “fritoa” contagiò anche altre culture, tanto che troviamo perfino una frittola ebraica, che gli Ebrei veneziani preparano ancor oggi in occasione della Festa del Purim.

La frittola è annoverata tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali, per cui è previsto anche un preciso regolamento delle metodiche di lavorazione e conservazione.
Ingredienti: farina bianca “00”, uvetta sultanina, zucchero, uova, latte, lievito di birra,zucchero vanigliato, sale, olio di semi (o strutto) per la frittura, aromi (buccia di limone o arancio)

Mescolare in una terrina la farina con latte, uova e zucchero, facendone un impasto abbastanza tenero – aggiungere un pizzico di sale – un po’ di lievito di birra – uva sultanina bagnata ed infarinata e si rimesta molto bene cercando che tutto si amalgami – lasciare lievitare il composto, coperto con un tovagliolo, in un luogo tiepido, per alcune ore. Lavorare di nuovo il composto, aggiungendo, se occorre, un po’ d’acqua per avere un impasto fluido. Versare a cucchiaiate l’impasto in una padella con molto olio bollente, e quando si rapprende, voltarlo con una schiumarola fino a che prende un color marrone chiaro. Quando pronte, levarle con una schiumarola, posare su una carta assorbente, servendole a cupola su un piatto, coperte da un velo di zucchero vanigliato.

fonte www2.regione.veneto.it

Condividi con