I ceci.. e la farinata

La pianta del cece proviene dall’Oriente ed è coltivata da tempo immemore in tutti i paesi del bacino mediterraneo . Gli antichi Romani li conoscevano bene: come altri legumi furono usati per dare un nome ad alcune famiglie (Lentuli, Pisoni, da “lenticchie”, “piselli”), anche i ceci (ciceri) contribuirono a dare il nome al celebre oratore Cicerone, per via del neo che aveva sul naso.Risulta essere stato uno dei primi alimenti dell’uomo sin dal 5000 a. C.
    Il cece è anche legato a un episodio sanguinoso avvenuto durante i Vespri siciliani: la rivolta di Palermo del 1282, che vide la fine del dominio angioino in Sicilia, consacrò per breve tempo la parola ciceri (ceci) come discriminante tra la vita e la morte. I francesi, infatti, erano incapaci di pronunciarla senza accentare la i finale e i siciliani, ansiosi di sterminarli, costringevano le persone sospettate di essere francesi travestiti a pronunciarla: chi diceva “cicerì” veniva subito ucciso.Ne esistono principalmente due varietà: una mediterranea più grande e tendente al giallo, ed una orientale, più piccola e rossastra.

La farinata di ceci (detta anche Torta di Ceci) è una torta salata molto bassa, preparata con farina di ceci, acqua, sale e olio di oliva. Si cuoce in forno a legna, in teglia, e assume con la cottura un vivace colore dorato.

Ha radici assai antiche: diverse ricette latine e greche riportano sformati di purea di legumi, cotti in forno.

Una leggenda racconta che sia nato per casualità nel 1284, quando Genova sconfisse Pisa nella battaglia della Meloria. Le galee genovesi, cariche di vogatori prigionieri si trovarono coinvolte in una tempesta. Nel trambusto alcuni barilotti d’olio e dei sacchi di ceci si rovesciarono, inzuppandosi di acqua salata. Poiché le provviste erano quelle che erano e non c’era molto da scegliere, si recuperò il possibile e ai marinai vennero date scodelle di una purea informe di ceci e olio.

Nel tentativo di rendere meno peggio la cosa, alcune scodelle vennero lasciate al sole, che asciugò il composto in una specie di frittella.

Rientrati a terra i genovesi pensarono di migliorare la scoperta improvvisata, cuocendo la purea in forno. Il risultato piacque e, per scherno agli sconfitti, venne chiamato l’oro di Pisa.

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