Il farro è la forma primordiale del frumento, venne coltivato già dai celti e dagli egiziani. Oggi le zone coltivabili di farro le troviamo in tutta l´Europa. Il farro e il frumento sono parenti genetici. Però il farro è il cereale meno esigente: è più robusto, resistente al freddo e meno soggetto a malattie. In più il farro possiede un contenuto proteico più alto di altri cereali, più vitamine, acidi grassi essenziali, magnesio e aminoacidi.

Il farro è famoso per essere stato la base dell’alimentazione delle legioni romane che partirono alla conquista del mondo, Veniva usato principalmente per preparare pane, focacce (libum) e polente Tuttavia, la sua coltivazione è andata via via riducendosi nel corso dei secoli, soppiantate dal grano tenero (discendente dal farro grande) e duro (discendente dal farro medio), con resa maggiore e costi di lavorazione inferiore.Oggi spesso la coltivazione del farro è associata all’agricoltura biologica e al tentativo di valorizzare zone agricole marginali, non adatte alla coltivazione intensiva di grani cereali. Nonostante l’alto costo, c’è stato un certo successo in questo lavoro di riscoperta, dovuto alle caratteristiche organolettiche e nutrizionali (maggiore contenuto proteico rispetto ad altri frumenti) di queste tre specie.

Si sente parlare sempre più spesso di farro e delle sue proprietà alimentari. Al tempo dei romani, ne costituiva la base alimentare. Ma l’età è ben più venerabile: 7000 anni a.C. il farro era già coltivato; in Puglia dal 5000 a.C. Quindi una coltura che ha segnato un modo di vivere, di produrre e di alimentarsi. Chiediamo lumi sull’oggi e sulle prospettive a Pasquale Codianni, responsabile del miglioramento genetico del farro della Sezione di Foggia dell’Istituto sperimentale per la Cerealicoltura (Isc). Spiega Codianni che la prova della coltivazione del farro in Puglia, così lontana nel tempo, è data dal ritrovamento di residui di spighette e di glume appartenenti al cereale. Probabilmente si tratta di resti di un pasto. Inoltre in alcuni villaggi pugliesi sono stati identificati, per mezzo di impronte su intonaco delle capanne, semi di farro. La coltivazione del farro in Italia sembra sia partita proprio dalla Puglia, quindi nei secoli successivi si è diffuso in numerose altre località risalendo il versante adriatico. In Italia settentrionale troviamo il farro in provincia di Cremona intorno al 4300 a.C. D. – Quali le specie coltivate? R. – «Nel nostro Paese sono tre: Triticum dicoccum Schübler, Trititicum monococcum L. e Triticum spelta L. che, più semplicemente, sono chiamate farro piccole, farro medio e farro grande». D. – Perché il farro è chiamato frumento “vestito”? R. – «Perché durante la fase di trebbiatura le glume e le glumelle non si distaccano dalla cariosside. Il seme viene liberato da questi involucri con un’operazione di vestitura effettuata con apposite macchine decorticatrici». D. – La sezione di Foggia dell’Isc si sta occupando di questa coltura? R. – «L’Istituto si occupa del farro da diciotto anni. All’epoca mi occupavo della sperimentazione varietale su frumento duro, tenero, avena, segale e triticale. Solo qualche tempo dopo cominciai a raccogliere frumenti vestiti. Il primo farro della collezione dell’Istituto fu il dicocco molisano donatomi dalla cooperativa di Trivento durante una mia visita all’impianto di decorticazione. Successivamente, il compianto prof. Giovanni Wittmer, direttore all’epoca dell’Istituto, mi portò un campione di farro Leonessa da Roma. Durante gli anni 1986-87 furono raccolti circa cento farri. Avviamo così la fase di moltiplicazione dei materiali e quindi cominciamo la valutazione bio-agronomica del farro. Furono evidenziati i pro e i contro di questi frumenti vestiti: poca resistenza del rachide, data la spigatura molto tardiva, forte aderenze delle glume e delle glumelle alla cariosside e bassa resa alla vestitura pani-pastificatoria che condizionavano negativamente la sua coltivazione». D. – Questi risultati la scoraggiarono? R. – «Purtroppo parve subito evidente che la coltura del farro nella pianura pugliese era sicuramente negativa». D. – Come reagiste? R. – «Inizialmente pensai di agire al di dentro delle popolazioni del farro cercando di individuare dei genotipi che rispondessero all’ideotipo di pianta che si era immaginato. Una strada subito abbandonata perché non portava alla soluzione di tutti i problemi. Fu nel 1991 che pianificai una serie di incroci tra varietà di frumento duro e tenero, rispettivamente con farro medio e farro grande al fine di migliorare il farro geneticamente». D. – Con quali risultati? R. – «Il progresso genetico raggiunto è stato notevole. Ha permesso di ottenere materiali genetici di notevole interesse sia dal punto di vista dell’adattamento ai diversi ambienti di coltivazione rispetto alle aree di origine che riguardo alle altre caratteristiche migliorative fortemente richieste per il rilancio della coltura. Sono state selezionate tre varietà di farro dicocco: Davide, Mosè e Padre Pio. Questi tre genotipi si caratterizzano per una riduzione media della data di spigatura di 10 giorni rispetto alla popolazione parentale di farro (dicocco molisano), taglia più bassa, resa della vestitura aumentata del 20%. Nei prossimi anni saranno resi disponibili altre tre varietà di farro dicocco con caratteristiche produttive e qualitative di pregio. Inoltre sono già disponibili genotipi di farro spelta adatti soprattutto per la panificazione». D. – Ma l’origine del farro … R. – «I centri di origine per le tre specie che si è detto sono differenti. Il farro piccolo ha origine in Turchia dove cresce spontaneamente il suo progenitore selvatico il T. boeoticum. Il farro medio è originario delle montagne tra Iran, Iraq, Siria e Palestina, dove cresce spontaneamente il suo progenitore selvatico T. dicoccoides. Il farro grande ha invece origine a sud del Mar Caspio, Kazakistan ed Afganistan, dove si ritrova l’Aegilops squarrosa, che è uno dei progenitori selvatici che, incrociandosi con T. dicoccum ha dato origine al T. spelta». D. – Attualmente in quali aree viene coltivato il farro? R. – «Viene coltivato nell’Europa dell’Est, Romania e Bulgaria in particolare; in Turchia, Grecia, Croazia, Albania; in alcuni Paesi del Medio Oriente, in Etiopia e sull’Altipiano Abissinico. In Europa occidentale viene coltivato in Svizzera, Austria, Belgio e Germania. In Italia si coltiva in Toscana (Garfagnana, Mugello e Maremma), Lazio (Rieti e Frosinone), Marche, Umbria, Molise (Valle del Trignone Alto Molisano), Campania (Avellino) e Puglia (Appennino dauno)». D. – E’ quantificabile la superficie investita a farro in Italia? R. – «Non sono disponibili stime ufficiali recenti, l’ultima risale al 1988. Tuttavia sulla base della tendenza in atto si può stimare che in Italia si coltivano circa 4.000 ettari di farro con una produzione media variabile di 1,5 t/ha per le aree montane e 3,5 t/ha per quelle collinari che si riduce di circa il 40% dopo la vestitura. Il 50% è destinato a uso zootecnico, il resto per l’alimentazione umana». D. – Secondo le sue conoscenze ed esperienze, il farro dove potrebbe essere coltivato? R. – «Potrebbe essere coltivato in tutte le zone dove l’abbondante piovosità determina uno scadimento qualitativo degli altri cereali non vestiti. Quindi ambienti caratterizzati da condizioni pedoclimatiche difficili e dove la coltivazione del farro garantisce lo sviluppo agricolo, la difesa del territorio e, in ultimo, ma non di importanza secondaria, la presenza dell’uomo. Per questo il miglioramento genetico del farro potrebbe rafforzare l’agricoltura di queste zone garantendo da un lato ai produttori una maggiore resa produttiva e le industrie di trasformazione che disporrebbero, così, di prodotti con caratteristiche merceologiche rispondenti alle loro richieste. In queste zone è possibile ottenere farro biologico che risponderebbe alla crescente domanda di prodotti biologici e dietetici per una alimentazione sana e naturale». D. – Vuole darci qualche indicazione sulle tecniche colturali? R. – «La coltivazione del farro grazie alla sua elevata rusticità, resistenza alle malattie e alle basse temperature, si adatta bene alla coltivazione in collina e in montagna su terreni poveri di elementi nutritivi e ricchi di scheletro. L’aratura principale non deve essere superiore a 20-30 cm. Prima della semina viene eseguita, generalmente, una lavorazione superficiale con erpici per rimuovere il terreno e per eliminare malerbe. La semina è eseguita, di norma, nella prima decade di novembre, ma con i tipi alternativi la semina si effettua in primavera. La densità di semina è pari a circa 200-300 semi germinabili per metro quadro equivalente a circa 150-200 kg/ha. La semina con seme vestito può essere effettuata a spaglio utilizzando lo spandiconcime e ricoprendo poi i semi con una leggera lavorazione. Per la concimazione azotata bastano 50 unità di azoto. La scelta del genotipo da coltivare deve essere fatta valutando attentamente le caratteristiche della zona dove sarà coltivato; per la coltivazione in aree non tradizionali ottimi risultati si possono ottenere con le varietà Davide, Mosè e Padre Pio provenienti da programmi di miglioramento genetico effettuati presso la sezione di Foggia dell’Isc». D. – Oggi come viene utilizzato il farro nella dieta alimentare? R. – «E’ stato l’alimento base di tutti i popoli del Medio Oriente e del Nord Africa. Le legioni romane conquistarono il mondo nutrendosi di questo cereale. La farina di farro era usata per preparare il puls che costituiva il piatto più conosciuto nell’antica Roma. Oggi il farro è consumato nelle zuppe e nelle minestre, i chicchi vestiti sono molto apprezzati in cucina quali componenti di numerose ricette. Il pane di farro si conserva più a lungo ed è caratterizzato da un aroma particolare, si presenta di grosso volume con una crosta saporita e croccante. La pasta di farro si trova, normalmente, miscelata con il grano, ma di recente, con i nuovi genotipi ottenuti da miglioramento genetico (Mosè e Padre Pio) si ottiene una pasta totalmente di farro dal sapore particolarmente gradevole e dall’ottima tenuta alla cottura. Il farro viene utilizzato in pasticceria. Famosi i dolci natalizi della Svizzera (Iebkuchen) prodotti esclusivamente da farina di farro».

INSALATA DI FARRO

 (per 6 persone):

Farro (300 g), zucchine (1 kg), peperoni (2), piselli freschi (300 g), pomodori maturi (6), cipolline fresche (4), fagiolini (200 g), basilico (20 foglie), olio extra-vergine di oliva, sale.

Tempo di preparazione: 1 ora – Tempo di cottura: 1- 2 ore

PREPARAZIONE:

Lavare il farro e metterlo in ammollo per 8 ore; cuocere per 1 ora in pentola a pressione, 2 ore in pentola normale. Se si usa il farro in chicchi spezzati il tempo di cottura è minore.

A parte in una pentola antiaderente cuocere, per 40 minuti, in poco olio le zucchine, i peperoni tagliati fini con le cipolline fresche e i piselli Aggiungere metà del basilico tritato e il sale. A parte lessare i fagiolini e tagliarli molto piccoli. Frullare 5 pomodori con il resto del basilico, aggiungere olio e sale e tagliare a fette il pomodoro rimasto.

Scolare il farro, aggiungere olio, circa 4-6 cucchiai, lasciar raffreddare mescolare bene con i pomodori frullati e unire le altre verdure. Decorare con le fettine di pomodoro, e servire freddo. A piacere si può aggiungere pepe.

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