L’importanza del vino nella Roma Antica

Era la bevanda più amata e concludeva tutte le cene. Veniva prodotta sia la qualità rossa (vinum atrum), sia la qualità bianca (vinum candidum), er commerciato in larga scala e addirittura si formarono anche alcune cooperative per la vendita di questa bevanda ( collegium); a Roma è stata verificata l’esistenza di un porto e di un mercato attrezzati essenzialmente per la vendita del vino ( portum vinarium e forum vinarium).Il Vino era raramente limpido e veniva di solito filtrato con un passino (colum), si beveva quasi sempre allungato con acqua calda o fredda (in inverno a volte anche con neve) in modo da ridurne la gradazione alcolica di solito da 15/16 a 5/6 gradi.

I tipi più pregiati erano il Massico e il Falerno (dalla Campania), il Cecubo, il Volturno, l’ Albano e il Sabino (dal Lazio) e il Setino; i più scadenti erano il Veietano (come tutti i vini dell’Etruria era considerato di qualità scadente), quello del Vaticano e quello di Marsiglia ( i vini della Gallia narbonese venivano affumicati e spesso contraffatti ); vi erano anche alcuni vini resinati, ma considerati di cattiva qualità in quanto la resina si aggiungeva ai vini più scadenti in modo che si conservassero più a lungo.

Sulle anfore utilizzate per il trasporto era impressa in una targhetta (pittacium) l’origine e la data di produzione per tutelare l’acquirente, anche se già in quell’epoca esistevano casi di adulterazione; ad esempio in una ricetta di Apicio si insegna a trasformare il vino rosso in bianco. I vini aromatizzati sono indicati sotto il nome di Aromatites, di Mirris, uno dei più apprezzati. Si aveva infatti l’abitudine di fare un vino aromatico, preparato all’incirca come i profumi, prima con mirra poi canna, giunco, cannella, zafferano e palma. Il Gustaticium è un vino aperitivo che si beve a digiuno prima del pasto, era un vino al quale si aggiungeva miele. Infine erano ricchi di vini medicinali, si mescolava vino e miele e il prodotto era chiamato Mulsum. Il Passum era un vino fatto con uve secche ma che serviva per i malati. Certe famiglie pompeiane si erano specializzate nella viticoltura e facevano invecchiare nelle cantine le anfore di mulsum. vini invecchiati (quelli che avevano passato l’estate successiva alla data di produzione) erano di grande pregio sulle tavole dei ricchi Romani, i quali li ostentavano nei loro banchetti.

Esistevano anche surrogati del vino come la lora, ricavata dall a fermentazione delle vinacce con acqua subito dopo la vendemmia e la posca, formata da acqua e vino inacidito (acetum). Il consumo del vino ebbe la sua espansione in epoca imperiale per lo più nelle zone di produzione e nelle grandi città come Roma dove per le enormi esigenze dovute all’alta densità della popolazione portarono anche ad una distribuzione gratuita di questa bevanda (imperatore Aureliano, ultimi decenni del III sec. d.C.) e al conseguente afflusso di grandi quantità di vino sia italico che di importazione.

I prezzi andavano dai 30 denari al sestiario (0,54 l) per i vini pregiati (falernum, sorrentinum,Tiburtinum), ai 16 denari al sestiario per i vini di media qualità, agli 8 denari per i vini di basso pregio. Il consumo medio di vino in un anno è stato calcolato in 140 – 180 litri a persona, questo grande consumo si pensa che sia dovuto anche al grande apporto calorifero che dava alla dieta romana costituita in gran parte da cereali e vegetali.

 

fonte www.archeoempoli.it

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