“Buseca” alla milanese

Il termine lombardo buseca ha etimo incerto; forse deriva da vessica con sovrapposizione di buus, che significa buco, ma questa interpretazione regionale contrasta con l’esistenza della voce toscana busecchio, usata già dal XIII secolo con valore di budello. Indica l’intestino in genere e, in sottordine, il rumine dei bovini.
In cucina designa la trippa ricavata dal rumine stesso che, nella porzione individuale di un piatto, è comunemente detta busechin.
Note: la pulizia della trippa 
Pellegrino Artusi considerava la trippa un cibo “poco confacente agli stomachi deboli e delicati, meno forse quella cucinata dai Milanesi, i quali hanno trovato modo di renderla tenera e leggiera”.
La corretta realizzazione della buseca inizia con la scelta delle qualità di trippa (cuffia e ricciolotta di vitello; il fogliolo – fujoo – si usa per fare la trippa in umido, da consumarsi come secondo) e prosegue con appropriate operazioni di pulitura e di cottura.
Oggi la trippa si trova già pulita e cotta, altrimenti si deve pulire lavandola in acqua calda e raschiandola bene con un coltello nella parte superiore (per asportarne i corpi estranei) e inferiore (per ridurne il più possibile lo strato di grasso).
La si fa quindi bollire per tre ore in acqua salata, con una costola di sedano e una cipolla picchettata con un chiodo di garofano.

Preparazione per 6 porzioni:

    TRIPPA RICCIA PRECOTTA:  1200 g
    POMODORI:  100 g
    CAROTE:  200 g
    SEDANO:  100 g
    PATATE:  250 g
    BURRO:  50 g
    LARDO:  50 g
    FORMAGGIO GRANA GRATTUGIATO:  60 g
    CIPOLLE:  50 g
    FAGIOLI DI SPAGNA SECCHI:  200 g
    BRODO DI CARNE:  3 litri
    SALE:  q.b.

Per la gremolata:

    PREZZEMOLO:  1 mazzetto
    AGLIO:  1 spicchio
    SALVIA:  3 foglie
    ROSMARINO:  1 rametto

Varianti:
per la buseca (la cui origine è contesa) esistono tante versioni.
Le varianti più diffuse prevedono l’uso di uno spicchio d’aglio nel soffritto o l’aggiunta di porri, cavolo cappuccio o patate per rendere più spesso il brodo.

L’ingrediente: le interiora povere
E’ noto l’ingegno popolare nell’utilizzo dei tagli meno nobili della macelleria. Va tuttavia sottolineato che se la buseca di vitello aveva un ruolo riconoscibile nelle dinamiche rituali del Natale, una non minore importanza hanno avuto, nella economia di sussistenza del passato, gli intestini e le budella di tutti gli animali allevati o cacciati, purché capaci, una volta nella pentola, di produrre pucia per intingere il pane o la polenta.
Si pensi al busechin de corada (polmone), alle rigaglie di pollo al vin del tecc (poi sostituito con il più comune marsala), agli stufati di interiora di maiale, di pecora, di capra e perfino di coniglio e di pollo, da versare sulla polenta, così diffusi in tutta la regione. Sul lago di Como si preparava la curadura, una sorta di polpetta ottenuta friggendo in una crosta di pangrattato, con cipolla e spezie, la colatura, cioè gli intestini degli agoni preparati per l’essiccazione.
 
    Lasciare a bagno i fagioli in acqua tiepida con un pizzico di sale, metterli in una pentola con acqua fredda e farli cuocere;
    tagliare a dadini pomodori, sedano e carote; affettare fine la cipolla; pelare le patate;
    privare la trippa del cordone di grasso, sbollentarla qualche minuto per poterla sgrassare ulteriormente, scolarla bene e tagliarla a pezzetti della lunghezza di 1 cm;
    in una casseruola, fare rosolare leggermente la cipolla con il lardo battuto e il burro;
    aggiungere la trippa, il sedano e le carote e fare brasare per circa 10 minuti, mescolando di tanto in tanto con un cucchiaio di legno;
    aggiungere il brodo bollente e fare cuocere su fuoco moderato per circa 30 minuti;
    aggiungere i pomodori e le patate intere, continuare la cottura a fuoco basso per un’ora;
    lasciare riposare per alcun minuti in modo che l’eventuale grasso rimasto della trippa venga in superficie e possa essere schiumato;
    schiacciare le patate con una forchetta e aggiungere i fagioli già cotti, riportare a ebollizione e cuocere ancora qualche minuto;
    tritare molto finemente gli ingredienti della gremolata e mescolarli insieme;
    unire la gremolata alla trippa, servire molto caldo con il grana.

In virtù del colore bianco che la fa percepire come un cibo non carneo, con il quale non si interrompe il digiuno, la trippa è il tradizionale piatto natalizio, consumato dopo la messa di mezzanotte (il busechin de la Vigilia).
Per la sostanziosità degli ingredienti è piatto unico, al quale si può far seguire, per spirito di celebrazione, una fettina di miascia o di altro pane alla frutta, ma cui si addice maggiormente un dessert leggero, del tipo delle pere giulebbate così care alle nostre nonne.
La si accosti un vino rosso giovane e ricco di acidità (Bonarda o Buttafuoco dell’Oltrepò Pavese).

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