Entrate, pasticci e zuppe..

Secondo le condizioni mediche ed alimentari della gastronomia pre-ottocentesca il pranzo o la cena dovevano essere precedute dall’ assunzione di cibi facilmente digeribili e stimolanti la digestione, chiamati, appunto per questo aperitivi. La cena, soprattutto, doveva cominciare con un’ insalata condita con olio e aceto o con capperi lavati nell’ aceto, come consigliava Costanzo Felici, medico marchigiano della seconda metà del XVI sec ., amico ed interlocutore scientifico di Ulisse Aldrovandi

Per conveniente raggione la comune usanza ha approbato che l’ insalata si habbia a mangiare la sera e innanti  pasto, stando ancora sull’ autorità ( oltre la ragione ) de molti e principalmente comandandolo Cornelio Celso al primo libro e capitolo II , ove dice che , sempre s’ incomincia il magnare ,o da cose salse o da herbe e da simili cose deve avere il principio, como ancora ce lo comondò Galeno al II degli Alimenti , al capitolo 34, ove comanda che quando mangiamo gli cappari con olio et aceto , sempre gli dovemo pigliare avanti pasto

I cibi salati dovevano precedere i pasticci, in genere di carne, che venivano preparati per tempo e costituivano il clou dei servizi di credenza. Non era abituale servire piatti di pasta , secondo l’ uso odierno. La pasta era nota e conosciuta in Italia ma è probabile che avesse un ruolo alimentare secondario, e solo domestico e quotidiano, almeno fino alla grande riforma dell’ alimentazione voluta dagli Illuministi nel ‘700.

Nei grandi banchetti dopo i primi servizi di credenza, cioè gli antipasti, si servivano essenzialmente portate di carne o di pesce, se il pranzo era di magro. Un pranzo era considerato fastoso se comprendeva  lessi ed arrosti di quasi tutte le carni in uso e conosciute. Le carni lesse, tuttavia , venivano in genere servite ricoperte da anolini, tortellini, o cappelletti  cotti in brodo in precedenza, oppure da pappardelle, come evidenziano lo Scappi ed il Cervio  per il Cinquecento, ed il Tanara per il Seicento. Lo Scappi nei suoi  banchetti  preparati per la corte pontificia, tra le tante portate di carne e di pesce, fa presentare  in tavola anche “Oche allessate, servite con pappardelle, cotte e cascio, e zuccaio e cannella sopra” ed il Cervio nell’ elencare le vivande servite per un banchetto di stato in onore dei figli del Duca di Baviera nel 1599 menziona, ma solo nel quarto ed ultimo servizio di cucina” maccaroni  fatti di pan papalino, cotti nel latte”e “ravioli verdi senza sfoglia fatti da le  moniche”.

Come si e’ detto e’ certo che in Italia, già a partire dal Cinquecento, la pasta fosse ben conosciuta ed utilizzata per il più  semplice uso domestico, mentre nei grandi banchetti nobiliari figurava solo come una sorta di contorno di piatto. Una conferma della diffusione  della pasta  la si può trovare nel privilegio  concesso dal Senato Bolognese il 20 Novembre 1586° Giovanni Dall’ Aglio  di confezionare e vendere in città e nel contrado pasta cruda del formato di: “vermicellos, lasagnas maccarones”, come già si faceva a Venezia a Roma e a Napoli ed in altre importanti città. Non è altrettanto certo, però che la pasta riuscisse a varcare, almeno fino alla metà del Settecento, i confini delle cucine popolari, dato che figura poco tra le vivande elencate nei banchetti ufficiali.

Un esempio francese di quanto si sostiene, e specifico inoltre per definire con maggior precisione la gastronomia che si seguiva nei conventi e nel mondo ecclesiastico, lo possiamo rintracciare nella fisiologia del gusto di A. Brillat-Savarin . Il pranzo di cui parla l’ autore francese e’ sostanzialmente a base di carne, di verdura e frutta di stagione .

Brillat-Savarin, giovane musicista dilettante , inviato, assieme  ad alcuni amici, anche loro musicisti, a suonare in onore della festa di San Bernardo, descrive alcune prelibatezze gastronomiche, servite secondo le migliori regole della tradizione culinaria antica rimasta inalterata, come nota l’autore, rispetto alla più moderna gastronomia del tardo Settecento, nel convento che li ospita.

Dopo una cavalcata notturna Brillat-Savarin ed i suoi amici, affamati sia per il viaggio, sia per l’aria salubre respirata, dato che il convento si trova in montagna, vengono accolti alle prime luci dell’alba dal padre Cellerario che, dopo i convenevoli d’uso, li porta in refettorio per fare colazione. Qui iniziano le piacevoli sorprese per i nostri musici che, ovviamente, non mancano di registrare per noi:

“Là tutti i nostri sensi vennero ridestati dall’apparizione della più seducente colazione mai servita, una colazione classica secondo la migliore tradizione. Nel bel mezzo di una tavola spaziosa troneggiava un patè grande come una chiesa; era circondato a nord da vitello freddo, a sud da un enorme prosciutto, ad est da un monumentale pezzo di burro e ad ovest da una grande insalatiera di carciofi immersi in una salsa al pepe. Sulla tavola, inoltre, si potevano vedere diverse specie di frutta e poi piatti, tovaglioli, argenteria vari, dentro dei cesti; dall’altro lato della tavola sostavano i fratelli laici ed i domestici, pronti per servire ed un po’ frastornati per esserci alzai troppo presto.

In un angolo del refettorio si vedeva un pila di oltre cento bottiglie costantemente rinfrescate da una fontana naturale che scorreva mormorando Evohè Bacche; e se l’aroma del moka non solletica le nostre narici, è solo perché, in quei tempi eroici, non si usava ancora prendere il caffè la mattina presto…&la Messa solenne i monaci imbandirono per gli ospiti e per i musici un sontuoso banchetto che Brillat- Savarin, pur definendolo antico nelle modalità gastronomiche, e siamo nel 1782 quasi alle soglie delle rivoluzione francese, magnifica per la bontà dei cibi e per la sapienza gastronomica con cui è stato preparato:

il pranzo fu servito seguendo il gusto del XV secolo. Pochi antipasti, pochi cibi superflui, ma in compenso un eccellente brodo di carne, dei ragoùs semplice e sostanziosi insomma una buona, cucina ed una cottura perfetta e, sopratutto, resa ancora più piacevole da una profusione di legumi dal sapore sconosciuto per gli abitanti dei quartieri eleganti.

Si potrà giudicare, pienamente, dell’ abbondanza che regnava in questo buon luogo solo quando avrò riferito che il secondo servizio di tavola comprendeva fino a quattordici piatti d’ arrosto.

Il dessert  fu ancora più considerevole se si considerava che era composto in buona parte di frutta che non può crescere a questa altezza, e che era stata portata dai paesi di pianura: infatti erano ricorsi al contributo dei giardini di Machuraz, di Morflent e di altri luoghi favoriti dall’ astro padre di ogni calore..”

estratto da “Astinenza e Gola” di R.Riccio Ed. Atesa

 

 

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