Che cos’è esattamente il “cibo locale”?

 Se l’essenza del “cibo globale” è quella degli involucri di plastica, di processi produttivi complessi ed artificiosi, di prodotti spazzatura trasportati per migliaia di chilometri, il sistema del “cibo locale” significa freschezza dei prodotti provenienti da aziende agricole prossime ai mercati di vendita ― gestiti dai medesimi agricoltori ― o in negozi indipendenti della zona. Per questa ragione, la distanza percorsa dal cibo (dal luogo di produzione fino al piatto di portata finale) è relativamente breve, con una grande riduzione del consumo di carburanti fossili e dell’inquinamento. Esistono, tuttavia, altri aspetti positivi. Il mercato globale richiede una produzione intensiva ed uniforme, deleteria per l’ambiente. Quello locale, invece, offre agli agricoltori degli incentivi alla diversificazione della produzione, creando nicchie da destinare alla coltivazione di nuove piante o all’allevamento di nuove specie animali. Avere produzioni diversificate, significa anche non poter impiegare i pesanti macchinari usati nelle monocolture e, conseguentemente, eliminare una delle cause principali del degrado dei suoli. La diversificazione conduce all’impiego di metodi biologici, rendendo i raccolti meno suscettibili agli attacchi di insetti nocivi e meno bisognosi di pesticidi artificiali. Le economie rurali, in particolar modo, traggono beneficio dai sistemi di produzione locali, dal momento che la maggior parte degli introiti derivanti dalla vendita del cibo, finisce nelle loro tasche e non in quelle di lontane multinazionali. Juan Moreno, un agricoltore dell’Andalusia, ci ha detto: «Quando vendiamo le nostre verdure al supermercato, non ci sono pagate quasi niente. Ora, attraverso la cooperazione locale, stiamo guadagnando molto di più, fino a tre volte per alcuni tipi di vegetali». Le piccole aziende agricole, nelle quali la produzione è diversificata, contribuiscono al mantenimento dell’economia locale anche attraverso la creazione di posti di lavoro, necessari perché in sostituzione di costosi macchinari. In Inghilterra, ad esempio, le proprietà al di sotto dei 100 acri (40 ettari) forniscono lavoro, per ogni acro, cinque volte più di quelle superiori ai 500 acri (200 ettari). Dai salari di questi lavoratori, traggono beneficio le comunità locali, molto più di quanto non avverrebbe se quel denaro fosse speso per far funzionare i macchinari.

 

La qualità del cibo

Il cibo locale è quasi sempre più fresco ― e più nutriente ― di quello globale. Esso necessita di pochi conservanti o di altri additivi e, con il metodo biologico, si possono eliminare i residui di pesticidi. Gli agricoltori possono coltivare piante che meglio si adattano al clima ed al suolo, preferendo la freschezza ed il gusto, ai prodotti da scaffale ed ai capricci del mercato globale. L’allevamento può essere integrato al raccolto, garantendo agli animali condizioni di vita adeguate e potendo contare su una fonte di fertilizzanti non chimici costantemente a disposizione sul proprio terreno. Se le nazioni del Sud del mondo fossero incoraggiate ad impiegare i lavoratori locali e le terre migliori per soddisfare i propri bisogni, piuttosto che destinarle alla coltivazione di prodotti di lusso destinati ai mercati del Nord, la fame diminuirebbe. Tuttavia, anche coloro che comprendono questi effetti negativi, credono che il sistema del cibo globale sia necessario perché ne produce una quantità maggiore e lo consegna nel mondo a prezzi più bassi. Questo è semplicemente falso. Alcuni studi portati avanti in tutto il mondo, hanno dimostrato come produrre in modo diversificato, su piccola scala, porta a raccolti maggiori che nel caso delle monocolture su larga scala. Infatti, se la priorità è quella di risolvere il problema della fame nel mondo, occorre passare al sistema del “cibo locale” immediatamente, vista la sua capacità di nutrire le popolazioni in un modo assolutamente migliore. Nonostante il costo effettivo del cibo “globale” non compaia nel listino dei prezzi al supermercato, è pagato con le nostre stesse tasse – per finanziare la ricerca di nuovi pesticidi e quella biotecnologica, per sovvenzionare le infrastrutture dei trasporti, delle comunicazioni e dell’energia richieste dal sistema, e per pagare gli aiuti esteri per spingere le economie del Terzo Mondo verso il distruttivo mercato globale. Paghiamo, ma in altro modo, anche un costo ambientale legato a questo modo di produrre ed ai nostri figli lasceremo un mondo in grave degrado.

 

Come facciamo ad avvicinarci al cibo locale? Malauguratamente, e nonostante le evidenze, la maggior parte dei legislatori sostiene la globalizzazione del cibo ― pensando che più si commerci, meglio sia. Quale risultato, vediamo prodotti identici incrociarsi più volte nel mondo, con il solo scopo di arricchire le multinazionali che controllano la distribuzione del cibo a livello mondiale. Un passo importante da attuare immediatamente è quello di evitare che gli stessi prodotti possano essere sia importati che esportati. Se eliminassimo l’eccesso di commercio di tutti i generi, dalla farina al latte, dalle patate al succo di mele, agli animali vivi, la riduzione dei trasporti sarebbe già un beneficio. Un simile passo richiederebbe la stipula di nuovi trattati, che ristabiliscano il diritto dei cittadini di proteggere le loro economie e le loro risorse. I sussidi che ora sostengono il sistema del cibo globale, potrebbero essere trasferiti a finanziare sistemi più ristretti, locali. I Governi hanno speso un’enorme quantità di denaro dei contribuenti per sostenere un sistema di produzione del cibo costoso, che pretende invece di produrre cibo “povero”. Se almeno una piccola parte di queste somme fosse stata spesa per finanziare le economie su piccola scala, il costo del cibo in ambito locale sarebbe sceso e la sua disponibilità sarebbe aumentata.

I cambiamenti nella politica energetica sono fondamentali. Nelle aree del Sud del mondo, dove si costruiscono ancora nuove strutture per la produzione di energia, uno spostamento verso forme di produzione decentralizzata di energia rinnovabile sarebbe facile da avviare con una relativa riduzione dei costi e dei disagi per le comunità, che la costruzione di dighe, l’impiego di energia nucleare e di combustibili fossili, inevitabilmente comportano. Oggi nel mondo, è stato imposto un modello educativo “adatto a tutti”, che elimina le conoscenze e le capacità, di cui i singoli individui hanno bisogno, per vivere delle proprie risorse e nei propri luoghi d’origine. I cambiamenti nelle politiche di tassazione, se adottati, contribuirebbero alla promozione del cibo locale. Attualmente, i crediti d’imposta favoriscono i produttori globali i cui metodi richiedono un massiccio investimento di energia. Nello stesso tempo, i metodi di produzione diversificata su piccola scala, sono penalizzati dalle tasse sui redditi, da quelle sui libri paga e da altre tasse sul lavoro.

 

Ridisegnare il commercio globale. Regolamentare il commercio locale

Lo sviluppo del mercato globale e della finanza ha creato l’emergenza legata all’operato, altamente inquinante e distruttivo del tessuto sociale, proprio delle multinazionali. Tutto questo, ha creato la necessità di nuovi regolamenti in campo ambientale e sociale ed ha alimentato la nascita di una burocrazia utile solo alla loro amministrazione. Questa burocrazia sta soffocando il piccolo commercio con documenti, ispezioni, multe ed i relativi costi sono tanto inutili quanto obbligatori. Il peso di questa situazione è troppo grave per le piccole imprese, mentre quelle più grandi, con tranquillità, pagano e crescono sempre di più, spingendo i piccoli concorrenti fuori dal mercato, per sempre. Quanti caseifici hanno già pagato questo prezzo perché non in possesso di lavelli in acciaio inossidabile, quando quelli in porcellana sono andati bene per generazioni? Oggi, c’è il disperato bisogno che i governi nazionali o regionali controllino l’operato delle multinazionali. Allo stesso tempo e con la stessa urgenza, occorre che siano ridotti i controlli sul mercato locale che, per le sue caratteristiche intrinseche, non è portato a danneggiare né l’uomo, né l’ambiente in cui questo vive.

 

Mutare il corso degli eventi

Questi cambiamenti getterebbero le basi per lo sviluppo di centinaia di iniziative basate sul coinvolgimento delle comunità locali ― molte delle quali già attive. A partire dall’agricoltura sostenuta dalla comunità, da programmi di vendita presso i mercati gestiti dai medesimi contadini, dalla nascita di cooperative di produzione e dall’avvio di campagne che spingano al consumo di prodotti locali, la gente ha già avviato il processo necessario alla ricostruzione di un sistema di produzione e consumo locali. Tuttavia, questi sforzi si riveleranno vani se le politiche dei governi continueranno a favorire il globale e la produzione in grandi quantità. Quando i ministri competenti promuovono ciecamente il commercio per amore del commercio e, allo stesso tempo, discutono su come ridurre le emissioni di CO 2 nell’atmosfera, c’è ben poco da sperare.

Tuttavia, occorre che la pressione verso il cambiamento provenga dal basso, dall’unione delle forze attive già esistenti e dei cittadini. Alleanze simili sono già state avviate. Ambientalisti e lavoratori, contadini e convinti ecologisti, gente del Nord e del Sud del mondo ― stanno dicendo NO ad un sistema che distrugge il lavoro alla stessa velocità con cui devasta l’ambiente, intere specie animali e minaccia la capacità di sostentamento dei contadini, aumentando i prezzi del cibo. Occorre ancora molto lavoro, per comprendere come tutte queste situazioni critiche siano strettamente connesse fra loro. Dobbiamo denunciare la verità relativa a questo tipo di commercio e sul modo in cui misuriamo il progresso, dobbiamo elencare in dettaglio i benefici ecologici, sociali, psicofisici ed economici derivanti dalla localizzazione e dal decentramento delle nostre economie. Riducendo il divario fra contadini e consumatori si avvieranno dei cambiamenti radicali in meglio. Tutto questo sarà per noi fonte di soddisfazione e ci permetterà di comprendere come, muovendo un passo verso questa direzione, potremo incoraggiare la diversità, tutelare il lavoro e preservare l’ambiente in tutto il mondo.

Helena Norberg-Hodge – www.theecologist.org
Traduzione di Ivan Miori – http://www.worldwewant.org

fonte civiltacontadina

Condividi con