Guida al consumo critico

Ogni prodotto che acquistiamo in qualsiasi supermercato o negozio di altra natura può essere paragonato a un iceberg. Quando compriamo ci portiamo a casa la punta pensando che non esista nient’altro. Da qualche parte, invece, una porzione più o meno grande di natura (materie prime, energia) è stata utilizzata per arrivare al prodotto finito.

Perché ogni prodotto ha una sua storia anche sociale: dietro ogni prodotto non c’è solo l’impatto ambientale (rifiuti compresi), ma anche il lavoro di chi l’ha prodotto (le condizioni di lavoro, il diritto alle ferie, allo sciopero, all’assistenza sanitaria e alla rappresentanza sindacale).

Ma tutto questo sull’etichetta ad esempio, della lattina di coca cola o del pacco dei biscotti che frettolosamente mettiamo nel carrello della spesa non è indicato.

In questo senso la nuova “Guida al consumo critico. Informazioni sul comportamento delle imprese per un consumo consapevole” – redatta dal Centro nuovo modello di sviluppo coordinato da Francesco Gesualdi – può avere la sua funzione. Cataloga, incrocia informazioni e offre dati aggiornati per conoscere i movimenti di centinaia di strutture produttive con le quali abbiamo rapporti frequenti.

Esamina 145 gruppi di imprese del settore alimentare e quelle dei prodotti per l’igiene e per la casa, selezionate per la loro capacità di vendita a livello nazionale. Per ogni società fornisce notizie su undici aspetti: la trasparenza, l’eccesso di potere, la presenza del sud del mondo, le relazioni sindacali, l’ambiente, il collegamento con armi ed esercito, il rapporto con regimi oppressivi, il rifugio nei paradisi fiscali, il rispetto dei consumatori e della legge, il maltrattamento degli animali, eventuali boicottaggi a loro carico.

E per facilitare il consumatore nella ricerca di notizie su aziende e prodotti, la guida fornisce le informazioni attraverso due diverse forme: simbolica (per una veloce consultazione) e descrittiva (per un approfondimento).

In particolare, le informazioni per la rapida consultazione sono fornite nelle varie tabelle, organizzate per prodotto che si trovano nella seconda parte della guida (mentre le informazioni descrittive si trovano nella terza parte). Dalla lettura delle tabelle, dunque è possibile stabilire rapidamente quali marche scegliere a partire dalle proprie priorità, morali, sociali e ambientali. Per questo possono essere particolarmente utili nel momento dell’acquisto. Del resto, la scelta di un prodotto può essere fatta anche sulla base di altri criteri oltre quello economico del prezzo o del gusto magari indotto.

Non a caso lo scopo della Guida al consumo critico non è “la denuncia” ma dare al consumatore le informazioni necessarie perché possa fare scelte coscienti, responsabili e “libere” da condizionamenti derivanti da una società fondata sul consumo, da un sistema che ci invita a consumare sempre di più (La dovizia di dettagli, infatti, alimenta lo spirito critico del lettore, lasciato comunque nella libertà di trarre le proprie conclusioni).

In realtà, come dimostra anche il recente studio pubblicato su Repubblica l’uomo dell’era della disponibilità sembra afflitto da una vera e propria patologia (anche se non è ancora riconosciuto come un disordine dall´American psychiatric association nel Dsm-IV, il manuale diagnostico e statistico per i disturbi mentali accettato a livello internazionale per la classificazione delle malattie psichiche). Si chiama shopping compulsivo e affligge il 5 per cento degli italiani, l´85 per cento sono donne.

Dunque, davanti a questo scenario, sembra difficile che una sola guida al consumo critico possa riuscire a produrre quel cambiamento culturale necessario. Senza una regia, una governance che riconverta questo modello produttivo e di consumo in senso ecologico, i risultati saranno pochi o nulli, anche perché ormai a forza di ingozzarci abbiamo “sforzato, fino a romperli, i meccanismi che ci danno il senso di sazietà. In altre parole ci pare di avere sempre fame e consumiamo in maniera scandalosa contro ogni logica igienica e del buon senso comune”. Fino ad arrivare a non distinguere più quali sono i nostri bisogni e quando questi sono soddisfatti (e lo dimostra appunto la patologia dello shopping compulsivo). Purtroppo, in noi la prospettiva consumistica ha attecchito sempre più perché il sistema ci fa credere che la nostra felicità passi attraverso l’avere.

Gran parte dell’attività economica tradizionale, però, è indifferente al concetto di benessere dell’essere umano ossia alla soddisfazione di bisogni fondamentali come il cibo, la casa, una buona salute, relazioni solide e la possibilità di realizzare il potenziale di ogni singolo individuo. (Da questo punto di vista si spiega perché il perseguimento del maggior Pil- indice di misura inadeguato per la misurazione del benessere, dei cambiamenti sociali, economici e climatici – sia uno degli obiettivi politici fondamentali di ogni Paese).

Le conseguenze ambientali della corsa della crescita economica minacciano la stabilità dell’economia globale. Se poi a tutto ciò aggiungiamo gli impatti socio economici della vita moderna (come che i 2,5 miliardi di persone vivono con 2 dollari al giorno o che nelle società industrializzate è sempre più in aumento l’obesità, le malattie correlate e i disturbi psichici) ecco che la necessità di ripensare obiettivi e modalità delle economie moderne diventa evidente.

Perché le economie basate sul modello convenzionale dove la natura non è altro che un serbatoio dal quale attingere, dove il profitto è l’unico scopo sono sempre più distruttive e disinteressate al benessere dell’essere umano.

Ma è anche vero che il passaggio da un’economia mirata alla crescita tout court a un’economia come la definisce Gesualdi della “sazietà” è una “operazione difficile non solo per i cambiamenti che impone agli stili di vita, ma soprattutto per le novità che comporta rispetto a temi come il lavoro e la gestione dell’economia pubblica”.

La questione quindi sta nel come riorientare l’economia verso la sostenibilità. Nell’attuale situazione globale in cui è emerso chiaramente che esiste un intreccio fra crisi ecologica, climatica economia e sociale, in cui è pure emerso che l’attuale modello di sviluppo (mirato a una crescita illimitata) impedisce di garantire un futuro stabile al pianeta.

Dunque il nuovo modello economico – a prescindere di come lo si voglia qualificare – dovrà tenere conto dei limiti delle risorse materiali ed energetiche, delle disuguaglianze con cui queste vengono utilizzate e la disparità fra chi ha ricchezza in capitale naturale e chi lo sfrutta per garantire il proprio tenore di ricchezza.


autore Francesco Gesualdi

fonte www.greenrepor.it

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