Quando l’uomo inizia a nutrirsi di frutta?

La scoperta della frutta come alimento risale a 1,8 milioni di anni fa. È stato un lontanissimo antenato dell’uomo, il Paranthropus robustus, una scimmia africana alta poco più di un metro a sfamarsi, oltre che di tuberi, radici e semi, anche dei frutti che crescono sugli alberi.
Inizia così quel rapporto tra uomini e alberi che supera ben presto il controllo delle specie selvatiche da parte dell’Homo sapiens, per giungere nei miti, nelle religioni, nella filosofia e nell’arte.

LA COLTIVAZIONE DEGLI ALBERI DA FRUTTO

I primi frutti sono molto piccoli. Maturati, sono dolci, profumati, ricchi di colore per attirare uomini e animali, che nel raccoglierli e mangiarli permettono al seme di essere trasportato e alla specie di diffondersi.
Risalgono al 10.000 a.C., all’epoca in cui gli uomini creano insediamenti stabili e imparano alcune elementari tecniche agricole, i primi tentativi di coltivare gli alberi da frutta
Molto a lungo (circa 5.000 anni) questi sforzi non giungono a buon fine; dalla semina si ottengono germogli esili e delicati, che solo dopo molti anni danno frutti maturi. 
Questi poi sono molto diversi da quelli, belli e buoni, che si sono selezionati per averne il seme: mandorle dolci tornano amare, pere deliziose tornano ad essere aspre e non commestibili. 
Saranno la moderna botanica e la genetica a spiegare le ragioni di questo comportamento, così diverso da quello dei cereali e delle leguminose. Sarà la comprensione del meccanismo della moltiplicazione degli alberi per porzione di ramo, e non per seme, a determinare il successo della coltivazione.
Per crescere gli alberi da frutto è necessario un insediamento stabile. Esso offre la necessaria protezione, le capacità tecniche per costruire gli utensili, lo sterco per farne concime, le acque ben condotte e rispettose di regole condivise. Sono necessari dunque artigiani, intellettuali, burocrati. 
La frutticoltura è parte della nascita della civiltà, muove i primi passi con la scrittura, la religione, la filosofia, la metallurgia.

Negli spazi protetti di un muro di pietre o da un intreccio di rami spinosi l’uomo ammira la fioritura, attende il maturarsi del frutto, ne gusta il colore, il profumo, poi il sapore. 
Crea un rapporto con l’albero da frutto familiare e ricco di simboli. 
L’albero nasce, muore, è fecondo e partecipa del rapporto tra uomo e natura resa amica dalla coltivazione.
Trasmette quel benessere e quel piacere che cogliamo oggi nelle espressioni artistiche.
Prima in Mesopotamia, poi in Palestina e quindi nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, i frutteti hanno funzione produttiva ed estetica
Giardino e frutteto in effetti hanno lo stesso ruolo, lo stesso disegno e significato.
Nella tradizione biblica il frutteto è un giardino chiuso. Come nei miti sumeri esso rappresenta la donna. 
Nella versione in greco del libro dell’Ecclesiaste i traduttori, cercando un termine che definisca la magnificenza dei giardini della creazione, lo trovano nei testi di Senofonte, che nell’Economico chiama permi daeza (attorno al muro) i grandi frutteti realizzati in Persia da Ciro il Grande «pieni di tutte le cose belle e buone che la terra può produrre». Il giardino-frutteto diventa dunque parádeisos (il paradiso).
Dal levante, le specie da frutta, le tecniche di coltivazione, i principi per l’allestimento di un giardino si diffondono con i commerci fenici alla Grecia e poi a tutto il Mediterraneo. 
Si tratta delle specie coltivate nel vicino oriente, ma anche di quelle giunte attraverso i traffici dalle lontane regioni asiatiche: il melo e il pero, l’albicocco, il ciliegio, l’amarena, il pesco, il susino, il pistacchio, il noce.
La storia degli alberi da frutto si intreccia così con quella dell’uomo e delle forme del suo abitare: nei giardini romani, in quelli del mondo islamico, in quelli rinascimentali.
L’incontro con le antiche colture asiatiche e poi con la sconosciuta flora americana arricchisce il panorama di nuove specie e tecniche di coltivazione. 
L’albero da frutto rimane protagonista del paesaggio mediterraneo anche quando con la rivoluzione agraria dell’Ottocento esce dai giardini chiusi per occupare le pianure, le colline, i terrazzamenti e i fianchi delle montagne.

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