Aceto Balsamico di Modena.. storia di una tradizione

E’ di un certo Donizone, monaco benedettino vissuto fra l’undicesimo ed il dodicesimo secolo, la prima testimonianza scritta sul balsamico. Le zone di produzione dell’aceto balsamico tradizionale di Modena erano e sono tuttora situate nelle provincie di Modena e Reggio Emilia, ad esclusione dei territori montani ed appenninici, dato che il microclima dei luoghi oltre i trecento metri di altezza non presenta le caratteristiche necessarie alla produzione di questo alimento.

Sono le zone dove per diversi secoli governarono i signori della Casa d’Este.

Si ipotizza una nascita casuale del balsamico; probabilmente un certo quantitativo di mosto cotto d’uva, la cosiddetta Saba, il dolcificante utilizzato nella cucina modenese, fu dimenticato in un vaso casalingo e ritrovato solo dopo un po’ di tempo quando già presentava segni di una avviata acetificazione.

E’ di un certo Donizone, monaco benedettino vissuto fra l’undicesimo ed il dodicesimo secolo, la prima testimonianza scritta sul balsamico.

Nella sua cronaca “Vita Mathildis”, racconta come , in occasione di una sosta a Piacenza nell’anno 1046, il re e futuro imperatore Enrico II di Franconia mandasse un suo messaggero al marchese Bonifacio di Canossa, padre di Matilde, (cito) “poiché voleva di quell’aceto che gli era stato lodato e che si faceva nella rocca di Canossa.

In questo racconto non è menzionata la parola “balsamico”, ma abbiamo comunque la testimonianza di quanto già allora quell’aceto fosse considerato importante al punto di farne dono ad un imperatore che, pur venendo da così lontano, ne conosceva l’esistenza.

Il cronista ottocentesco modenese Antonio Vallisnieri riferisce come alla Corte estense venissero conservate botti di aceto già intorno al 1228, ai tempi di Obizzo II, signore di Ferrara, Modena e Reggio Emilia.
Un volume della Corte ducale del 1556 intitolato “La Grassa” riporta una scrupolosa classificazione dei tipi di aceto in base alle differenti possibilità di impiego. Da ciò deduciamo che alla corte estense si avevano le idee già molto chiare sulle diverse qualità di balsamico e che si destinasse solo quello migliore a persone di rango e per certe occasioni importanti.

Nel 1598 Modena diventò capitale del Ducato e a questo periodo risalgono documenti che attestano ancora più esplicitamente l’interessamento della Corte ducale al prodotto.

E’ del 1597 una lettera del procuratore di corte Giovanni Francesco Vezzali diretta al fattore generale di corte signor Ercole Estense Mosti riguardante l’acquisto di trebbiano per le accete.
L’anno successivo il governatore ducale Giovanni Battista Contugo, in una lettera indirizzata alla Camera ducale avverte di aver trovato le uve idonee ad accomodare le acetaie.
Il fatto che il duca fosse così attratto dal balsamico significa che, evidentemente, avesse modo di assaggiarne di maturo, quindi botti di aceto dovevano esistere a corte già da lungo tempo.

In base alle testimonianze scritte, troviamo citato per la prima volta il termine “balsamico” soltanto in un registro della cantina ducale del 1747; in questo si ordina il trasloco dell’aceto da una cantina segreta alla camera del prato, luogo storico per il balsamico, situata nel torrione ad ovest della facciata del palazzo ducale. E’ una consuetudine quella di fare dell’aceto balsamico dono prezioso alle persone di riguardo. Documenti e materiale epistolare ce lo confermano.
Nel 1730 il duca Rinaldo I d’Este ne donò a Lodovico Antonio Muratori, storico e direttore della Biblioteca Estense, in segno di riconoscenza dell’opera da lui svolta. Documenti attestano che ancora più di cento anni dopo eredi del Muratori conservano il prezioso dono.

Nel 1764 il duca Francesco II ordinò di inviarne al conte Michele Woronzow, Gran Cancelliere di Moscovia, ” e inoltre “ad un mercante inglese di Livorno”.

Ulteriori contributi a noi giunti, due lettere; la prima di Antonio Boccolari di Modena ad Antonio Tecchi di Milano del 1774, la seconda , del 1815, è la risposta di Ottavio Agosti di Bergamo al Marchese Emilio Menafoglio di Modena, in ognuna si testimonia dell’aceto balsamico quale prezioso dono.
Dicevamo che il termine “balsamico” appare per la prima volta solo nel 1747, e tale termine deriva dalle proprietà medicinali inizialmente attribuite a questo particolare aceto.
Vari documenti e la tradizione confermano questo aspetto dicotomico, cioè l’impiego dell’aceto balsamico, in campo medicinale prima e gastronomico poi.
Nel 1508, Lucrezia Borgia, dando alla luce in Ferrara il figlio Ercole II, ne sperimentò le proprietà terapeutiche proprio al momento del parto.
Durante la pestilenza del 1630, l‘aceto servì come (cito) “preservativo al contagio” e contro “l’ammorbamento dell’aria”.( preservarsi con abluzioni, con gargarismi, utilizzandolo come cordiale, come tonico, contro l’aria infetta lasciandone cadere alcune gocce sulle braci del camino).
E diverse sono le prove che testimoniano l’uso del balsamico come rimedio alla peste. Una per tutte, una lettera di certo signore Mongardino al conte Molza datata 4 settembre 1630, dove vengono dati appunto consigli e direttive sull’uso del balsamico.
Il celeberrimo Gioacchino Rossini ringrazia ,in una lettera, il compositore, musicista, maestro di Cappella del Duomo di Modena Angelo Catelani, che gli aveva inviato una bottiglietta di balsamico per aiutarlo a sconfiggere lo scorbuto, male che già da tempo affliggeva il maestro pesarese.
Una conferma sulle proprietà curative nelle infiammazioni delle mucose ci è data da documenti riguardanti il duca di Modena Francesco IV (1779 – 1846) che viaggiava sempre con un cofanetto del prezioso liquido nella propria vettura, usato come conforto per sua cagionevole salute. La tradizione popolare conferisce all’aceto balsamico ulteriori caratteristiche singolari; una sua virtù afrodisiaca. Virtù che sempre la tradizione vuole che fosse già validamente sperimentata da Isabella Gonzaga, mentre si narra più tardi che anche Giacomo Casanova ne conoscesse i magici effetti.
Col passare degli anni l’aceto balsamico rimase protagonista nella storia del Ducato di Modena, seguendolo nelle sue alterne fortune.
Sempre il cronista Antonio Rovatti ,in un suo manoscritto del 1796, descrive la vendita per conto della Repubblica Francese (cito) “dell’Aceto Balsamico dell’ex Duca custodito entro 36 barili di un quarto per caduna, nel terzo torrione del palazzo ex Ducale verso San Domenico”, la già citata camera del prato, nella torre sul lato a ponente rivolta verso
la Chiesa di San Domenico.

E’ probabile che gli acquirenti, dalla vendita all’incanto, fossero tutti appartenenti ai ceti abbienti, quindi, forse ,ancora oggi, può esservi rimasto del prezioso aceto anche se non è possibile identificarlo; infatti Napoleone fece cancellare dalle botti tutti gli stemmi esistenti e non abbiamo documenti che attestino i nuovi proprietari.
Sappiamo per certo comunque che non tutto l’aceto del duca andò venduto in quell’occasione. Infatti il 2 settembre 1817 le grandi finestre della camera del prato vennero riaperte in concomitanza della visita del principe Metternich che ben conosceva il prezioso balsamico.
Il duca infatti, durante le sue visite di lavoro a Vienna, aveva magnificato le qualità dell’aceto, ed ora il Cancelliere austriaco chiedeva di poterne assaggiare del migliore.
In quegli anni il commercio del Ducato era piuttosto trascurato, anche per la paura che il Duca aveva della intraprendenza della borghesia mercantile, per cui favoriva o la vecchia nobiltà ( cioè i proprietari terrieri) o il popolo.
Per questo la bilancia commerciale era in seria difficoltà, anche se si cominciava ad intravedere un qualche spiraglio di luce, per lo meno per quanto riguardava gli scambi con l’Impero Asburgico.
Sempre da Antonio Rovatti, in “Cronaca Modenese”, apprendiamo che esisteva una “Lega Doganale Austro-Estense” riguardante i rapporti commerciali con il lombardo veneto; ebbene, nei rapporti commerciali con il lombardo veneto l’aceto balsamico compare in prima fila fra i prodotti esportati.
Dopo il plebiscito del 1860 i produttori modenesi non interposero molto tempo a riprendersi dai disagi che il grande cambiamento aveva prodotto e subito parteciparono ad importanti esposizioni in Italia ed all’estero.
1863 Esposizione agraria a Modena,
1872 Esposizione agricola industriale a Vignola,
1878 Esposizione internazionale a Parigi,
1888 Esposizione emiliana a Bologna,
1888 Esposizione vaticana a Roma.

Il 4 maggio 1859 si riaprirono di nuovo le finestre della Camera del Prato. Questa volta, dopo il plebiscito, giungevano a Modena il nuovo sovrano Vittorio Emanuele II e il primo ministro Camillo Benso conte di Cavour. Questa visita preludeva purtroppo alla fine delle famose acetaie del duca.
Cavour ordinò infatti di trasferire le botti migliori nel castello di Moncalieri, dove, lontano dalla sua terra e dal suo clima il balsamico verrà lasciato in abbandono fino a morire.
È di questo stesso periodo la richiesta dell’enologo di Casale Monferrato Ottavio Ottavi, all’avvocato modenese Francesco Aggazzotti, esperto cultore, di chiarimenti per la conduzione di una acetaia. Aggazzotti risponderà con una lettera il cui contenuto, che descrive la procedura per la preparazione del balsamico, per i modenesi diventerà il “breviario” per la cura e la conduzione dell’acetaia.

fonte comune.modena.it

 

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