Il Bensone modenese

ll bensone (belsòn in modenese) è un dolce di origine modenese, forse il più semplice ed antico di queste zone, di forma ovale.

Nel XIII secolo la comunità modenese lo offriva alla corporazione dei fabbri e degli orafi in occasione della festa patronale di questi artigiani. L’etimologia del nome potrebbe derivare dal francese pain de son, ovvero pane di crusca, poiché un tempo, si utilizzava per la preparazione del dolce la farina non setacciata. L’antica ricetta del bensone, Irimasta nel tempo quasi immutata, prevedeva un impasto di farina, latte, uova, burro e miele. Questo ultimo ingrediente è stato successivamente sostituito con lo zucchero.

Il bensone può essere farcito con 100-150gr di marmellata o di savòr.

La sua preparazione è rimasta immutata nei secoli, come quando, nel 1300, il 1° dicembre, giorno dedicato a Sant’Eligio, patrono dei fabbri e degli orafi, la comunità modenese lo offriva in dono alla Corporazione di questi artigiani. La ricetta del bensone, a quei tempi, prevedeva un impasto di farina, uova, burro, latte e miele. Quest’ultimo ingrediente – come in tutte le altre preparazioni di cucina – ha poi lasciato il posto allo zucchero, prima di canna e successivamente di barbabietola, quando nel 1747 Sigismondo Margraff scoprì nella beta vulgaris l’esistenza del saccarosio. Oggi come ieri, il bensone arriva in tavola alla fine del pranzo, quando i bicchieri di lambrusco sono ancora da vuotare completamente ed è piacevole inzupparvi, un po’ alla volta, la pasta dorata e morbida, che prende subito il colore viola del vino.

Il bensone (nella Bassa modenese chiamato “belsòn” o “busilàn”) ha un’etimologia suggestiva. Qualcuno l’attribuisce alla ritualità della sua presenza sulla tavola in certe occasioni religiose. Pane di benedizione, dal francese “pain de bendson”, invece, è l’interpretazione semantica suggerita dai glottologi che hanno studiato i numerosi collegamenti fra il dialetto modenese e la lingua francese (basterebbe pensare al geminiano “tirabusòun”, levatappi, e al gallico “tirebouchon”). Un tempo, infatti, in occasione del Sabato Santo e di altre festività religiose, c’era l’usanza di far benedire in chiesa il semplice dolce. Altri, però, propendono per la derivazione dal francese “pain de son”, pane di crusca, che è altrettanto accettabile dell’altra, sia per la stessa origine straniera sia perché, un tempo, per preparare il bensone si usava proprio la farina non setacciata. Con lo stesso impasto si preparava anche la ciambella (“brazadèla”), che per tradizione religiosa era regalata ai giovani cresimati. Secondo una consuetudine della Diocesi, rispettata almeno sino al 1920, il sacramento era impartito soltanto in Duomo: la domenica di Pentecoste ai ragazzi e alle ragazze del Comune di Modena e il lunedì successivo a quelli della montagna e della Bassa. In quei due giorni, le strade vicino al Duomo si riempivano di bancarelle che, oltre a coroncine, rosari e libretti da messa con la copertina di finta madreperla, vendevano le simboliche ciambelle. Erano rotonde, con un largo foro al centro secondo l’usanza, risalente al XIII secolo, di portarle infilate in un braccio, durante la tradizionale visita dei cresimati ai parenti.

 fonte percorsigastronomici.it

 

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