La Salama da sugo ferrarese

Nella città che fu degli Estensi, la gastronomia rappresenta un caso a sé nel vasto e vario panorama regionale dell’Emilia Romagna e la Salama da sugo è uno dei piatti che fa rivivere i fasti delle Corti rinascimentali. Quella della salama è una tradizione culinaria che per le sue peculiarità a rischio di estinzione, rientra oggi nei dieci principali presidi difesi da Slow Food. Viene preparata macinando varie parti del maiale quali coppa del collo, guanciale, polpa magra derivante dalla rifilatura del prosciutto (coscia) e dalla spalla, si aggiunge una piccola percentuale di lingua e fegato, alle quali, nella ricetta contemporanea, vengono aggiunte sale, pepe, noce moscata. Preparazioni casalinghe del prodotto a volte prevedono, anche se raramente, l’aggiunta anche di altre spezie come chiodi di garofano e cannella, come richiamo alla prima ricetta della salamina che si conosce, quella risalente al ‘700 del parroco di Tresigallo

La concia dell’impasto termina con l’aggiunta abbondante di vino rosso robusto, non amabile e non pastorizzato che, oltre ad aromatizzare l’insaccato, caratterizza in modo determinante la stagionatura, orientando la formazione del tipico sapore che presenta la salama da sugo. L’impasto così ottenuto viene insaccato nella vescica del maiale stesso, in una caratteristica forma rotondeggiante. Il tipo di legatura permette la formazione di otto o sedici spicchi a seconda della grandezza; dopo qualche giorno di iniziale essicatura, la stagionatura continua per circa un anno in adeguati ambienti con un clima da cantina.

Il procedimento per la cottura della salamina è semplice. La prima operazione è diagnostica, si tratta della cosiddetta piombatura ovvero dell’immersione della salama in acqua osservando se affonda o se tende a galleggiare. Se affonda nell’acqua (come un piombo), significa che la salama non presenta difetti insorti durante la stagionatura; se invece tende a galleggiare significa che all’interno, durante la maturazione, si sono formate piccole sacche d’aria che potrebbero avere irrancidito il prodotto.

Il procedimento di cottura procede con l’immersione della salamina in acqua tiepida per una notte. Si lava poi sotto l’acqua corrente, aiutandosi anche con le mani, così da togliere lo strato di muffa, ormai ammollito, dovuto alla stagionatura. Per la cottura si continua con l’immersione della salamina in una pentola tipo asparagera (recipiente alto e stretto che richiede nel complesso meno acqua), inserendola direttamente in acqua. Occorre adottare la precauzione di tenerla sospesa legandola ad un cucchiaio collocato di traverso sopra il bordo per evitare che tocchi la pareti interne o il fondo della pentola: se la salamina è ben fatta, lo spago di legatura riesce a reggere il peso della salama durante tutta la lunga cottura. Questo procedimento, facendo fuoriuscire un po’ del grasso di preparazione, rende più gradevole l’intenso gusto. L’importante è che non venga forata prima della cottura, come si fa invece per il cotechino.

Il tempo di cottura può essere variabile dalle sei alle otto ore a fuoco lento e si stabilisce in base al tempo di stagionatura: più è stata lunga, maggiore sarà la durata della cottura. Questo per compensare la perdita di acqua dovuta alla lunga permanenza nei locali di stagionatura che potrebbe aver reso la salama poco morbida e così restituire alla salama la sua gradevole consistenza. Certamente la consumazione al cucchiaio può avvenire solo per salamine da sugo con una relativamente alta parte grassa ed una stagionatura non oltre i 6-8 mesi. Quelle salamine relativamente più magre e con tempo maggiore di stagionatura si prestano meglio per essere servite a spicchi o a fette dopo avere tagliato in due la salamina.

In entrambe le modalità di questa lunga cottura si deve porre particolare attenzione a mantenere la salama sospesa, ma sempre sommersa in acqua. È frequente riscontrare che, durante la cottura, la salama tenda a risalire ed a capovolgersi per la formazione di vapore al suo interno, questo fenomeno tuttavia non compromette la corretta cottura del salume. Ciò che invece è fondamentale curare è il rabbocco costante della pentola con acqua calda quando necessario.

Terminata la cottura, la salama viene consumata calda, rimuovendo la parte superiore ed estraendo la carne con un cucchiaio se vi sono le condizioni per farlo. Diversamente si toglie interamente la pelle e la si colloca, ancora intera, su un tagliere, meglio se a conca, per raccogliere più agevolmente il sugo che esce durante il taglio a fette o a spicchi che viene eseguito per preparare la portata. Viene solitamente accompagnata da abbondante purè di patate, che ha la doppia funzione di ottimo contorno e componente necessario alla diluizione del sapore forte della salama. Un cucchiaio del sugo rosso che esce nel taglio può essere infine recuperato e versato sul purè dove è stata collocata la fetta di salamina.

Altri contorni consigliati, ma poco diffusi, sono la crema fritta oppure un cremoso purè di zucca. Solitamente è portata unica, in quanto la seppur ridotta quantità, come normalmente si serve, è comunque sufficiente per un pasto completo, tuttavia è tradizione farla precedere da un piatto di cappelletti in brodo e farla seguire da una fetta di panpepato o da una torta con le tagliatelle

 

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