IL CASTELLO LAMBRUSCO DELL’EMILIA IGT ROSSO: vino selezionato per Un’Itàlia

IL CASTELLO LAMBRUSCO DELL’EMILIA IGT ROSSO 2010 CANTINA DI S.CROCE SOC. AGR. COOP.  CARPI MO medaglia argento 2011

 

Da tempo immemorabile la campagna carpigiana è ricca di colture di vite. Ne parlava persino Plinio il Vecchio, scrivendo a proposito della Vite, del vino e della Lambrusca Vitis, quest’ultima, una particolare vite selvatica che produceva frutti dal sapore aspro, nella zona di Modena, e delle loro proprietà taumaturgiche. Catone parla della coltivazione della Lambrusca nel territorio carpigiano in uno dei suoi trattati denominato “De Agricoltura”. Ma anche Virgilio, Varrone nel suo “Del Re Rustica” e altri poeti e scrittori dell’età Classica, parlano dei vini e della Lambrusca Vitis dell’area modenese. Infatti, il vino per eccellenza, prodotto qui, è proprio il Lambrusco, ottenuto dalle uve locali sopraccitate. Tra le qualità più famose di Lambrusco ricordiamo: quello di Santa Croce (Salamino), quello di Sorbara e quello di Castelvetro (Grasparossa), che hanno ottenuto prima il marchio DOC e, successivamente, DOP.
Questo vino è ottenuto da uve 70% Lambrusco Salamino 30% Lambrusco Grasparossa.
Vinificazione in rosso con macerazione prolungata sulle vinacce. Fermentazione a temperatura controllata. frizzante, di colore rosso rubino intenso, profumi caratteristici di frutta rossa matura. Gusto secco, piacevolmente vellutato.

Le testimonianze relative all’esistenza del Lambrusco ruotano attorno all’origine stessa del nome. Il significato di pianta spontanea, selvatica, può essere ricondotto in seguito al rinvenimento di semi di vite silvestre (selvatica) proprio nelle zone di produzione attuale del Lambrusco. Testimonianze dirette ci giungono dai latini e precisamente da Virgilio, nativo del mantovano, altra preziosa zona di produzione attuale, il quale parla dell’esistenza della vitis labrusca duemila anni fa, nella sua quinta bucolica. Anche altri scritti di quell’epoca parlano di quel tipo di vite, come il “De agri cultura” di Catone, il “De re rustica” di Varrone e il “Naturalis Historia” in cui Plinio il Vecchio dice: “la vitis vinifera le cui foglie, come quelle della vite labrusca, diventano di colore sanguigno prima di cadere”. Non sono certe le origini della coltivazione di questa vite, in un trattato di agricoltura del 1305 il bolognese Pietro de’ Crescenzi, suggerisce di prendere in considerazione l’allevamento della vite labrusca.

Nel 1567 Andrea Bacci, medico del papa Sisto V e botanico afferma che “sulle colline di fronte alla città di Modena si coltivano lambrusche, uve rosse, che danno vini speziati,odorosi, spumeggianti per auree bollicine, qualora si versino nei bicchieri”.
Nel 1700 circa, si ebbe un’importante innovazione tecnica per la conservazione di questo vino frizzante: l’introduzione di una particolare bottiglia denominata Borgognona, caratterizzata da un vetro resistente e spesso e il relativo tappo di sughero tenuto fermo con l’aiuto di uno spago che altrimenti tenderebbe a saltare a causa della rifermentazione degli zuccheri che crea anidride carbonica.
Nel 1867 Francesco Aggazzotti, prezioso descrittore anche dell’aceto balsamico, propone una prima suddivisione esauriente delle tre tipologie prevalenti dei vitigni coltivati: Il lambrusco della viola o di Sorbara, il lambrusco Salamino, il lambrusco dai Graspi Rossi dai quali si ricaveranno tutti i vari tipi di Lambrusco.
Nella prima metà del ‘900 il Lambrusco era un vino decisamente secco e la sua schiuma, proprio come per lo Champagne, era prodotta mediante una seconda fermentazione in bottiglia. Con l’avvento di nuove tecnologie nel campo vinicolo la produzione del Lambrusco aumentò notevolmente dai primi anni ’60, con l’introduzione del metodo Charmat. Così nel ventennio successivo il Lambrusco venne venduto notevolmente all’estero in particolar modo negli Stati Uniti dove ebbe molto successo tanto da rappresentare circa il 50% dei vini italiani importati in America. In quel luogo infatti, venne promosso come una specie di Coca Cola italiana. Ma negli anni ’90 la produzione di Lambrusco ebbe una svolta dal punto di vista qualitativo ai danni di quello quantitativo. Si tentò così di ritornare alle origini del lambrusco, più secco e consistente e meno dolce

Lambrusco Grasparossa di Castelvetro

Lambrusco Salamino di Santa Croce

Grasparossa di Castelvetro: storie di uomini, territorio e uva
 

 

 

abbinato ai piatti di Un’Itàlia:

Piatto n. 128 Piadina romagnola al Sale dolce di Cervia -Proposto da:   Proloco Milano Marittima

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