Il Sagrantino di Montefalco

La storia del sagrantino ha origini lontane, tanto che lo stesso Plinio Il Vecchio lo citava nel suo famoso Naturalis Historia: “Itriola Umbriae Mevanatique et Piceno agro peculiaris est“, dove “itriola” era l’attuale sagrantino e “Mevania” l’odierna Bevagna.

Per molto tempo il sagrantino venne utilizzato quasi esclusivamente in versione passita.
Oggi le cose sono profondamente cambiate, grazie all’esperienza maturata in vigna e in cantina
. Oltre alla versione passita, ricavata con le uve sottoposte ad un adeguato appassimento, la versione  secca del Sagrantino ha un colore rosso rubino intenso che talvolta l’invecchiamento lo tende al violaceo ed e’ apprezzato in tutto il mondo.

Il Sagrantino di Montefalco Docg prende il nome dall’omonimo vitigno da cui viene prodotto. Coltivato da secoli sulle pendici delle colline umbre, il Sagrantino viene considerato autoctono, nonostante siano varie le ipotesi riguardanti la sua origine. Alcuni, infatti, lo ritengono di provenienza spagnola, altri credono sia stato importato dai primi frati francescani, altri ancora introdotto in Italia dai Saraceni.

Questa Docg contribuisce in larga parte ai meriti acquisiti dalla regione umbra come produttrice di vini pregiati, già conosciuti e consumati nel Rinascimento dai papi e dai governatori. La zona di produzione comprende l’intero territorio dei comuni di Montefalco, Bevagna, Gualdo Cattaneo, Castel Ritaldi e Giano dell’Umbria siti in provincia di Perugia. La resa massima di uva non deve essere superiore ad 80 quintali per ettaro di vigneto in coltura specializzata. Le operazioni di vinificazione e di invecchiamento obbligatorio devono essere effettuate nell’ambito territoriale dei comuni compresi nella zona di produzione. La resa massima dell’uva in vino non deve essere superiore al 65% per il “Montefalco” Sagrantino “secco” e al 45%, riferito allo stato fresco dell’uva per la tipologia “passito” le cui uve subiscono un appassimento su non inferiore ai 2 mesi. Il vino “Montefalco” Sagrantino “secco” e “passito” non possono essere immessi al consumo se non dopo aver subito un periodo d’invecchiamento di almeno trenta mesi, di cui almeno dodici in botti di legno il “secco” , mentre per il “passito” non è previsto invecchiamento obbligatorio nel legno. I periodi d’invecchiamento decorrono dal 1° dicembre dell’anno di produzione delle uve. Il Sagrantino passito si accompagna a preparazioni dolci a pasta non lievitata, abbastanza consistenti, in particolare pasticceria da forno, crostate con marmellate di more o di altri frutti rossi.  Va bevuto come vino da meditazione o accompagnato a formaggi pecorini molto piccanti quando è invecchiato. Il Sagrantino secco invece và abbinato a grandi arrosti, cacciagione, selvaggina da pelo e formaggi a pasta dura.

fonte www.stradadelsagrantino.it

 

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