Pianta conosciuta sia dall’antichità: citata sin dal 1551 a.C. Plinio il vecchio ne decantò le sue virtù antinevralgiche e diuretiche.

L’etimologia del nome generico di questa pianta (Cichorium) è difficile da stabilire. Probabilmente si tratta di un antico nome arabo che potrebbe suonare come Chikouryeh. Altri testi invece ipotizzano che derivi da un nome egizio Kichorion, o forse anche dall’accostamento di due termini Kio (= io) e chorion (= campo); gli antichi greci ad esempio chiamavano questa pianta kichora; ma anche kichòria oppure kichòreia. Potrebbe essere quindi che gli arabi abbiano preso dai greci il nome, ma non è certo.
La difficoltà nel trovare l’origine del nome della pianta sta nel fatto che è conosciuta fin dai primissimi tempi della storia umana. Viene citata ad esempio nel Papiro di Ebers (ca. 1550 a. C.) il medico greco Galeno la consigliava contro le malattie del fegato; senza contare tutti i riferimenti in epoca romana. Plinio il Vecchio grande naturalista latino, infatti, nella sua ‘Storia naturale’ ne decanta le virtù antinevralgiche e diuretiche.
Il nome specifico (intybus) deriva dal latino a sua volta derivato dal greco entybion col quale si indicava un’erba simile alla cicoria (ora chiamata genericamente “erba scariola”).
Il binomio scientifico è stato definitivamente fissato dal botanico e naturalista svedese Carl von Linné (1707 – 1778) nella pubblicazione Species Plantarum del 1753; prima ancora però, questa pianta veniva chiamata variamente : Intubum sylvestre oppure Intubum sylvestris; solo con poco prima di Linneo s’incominciò ad usare costantemente il nome proprio di Cichorium.
Gli inglesi chiamano questa pianta Chicory, i francesi la chiamano Endive witloof ma anche
Chicorée e i tedeschi Wurzelzichorie oppure Cichoriensalat ma anche Wegwarte.

Il ciclo biologico è perenne, ma a volte anche annuale; nel primo anno spunta una rosetta basale di foglie, mentre il fusto fiorale compare solamente al secondo anno di vita della pianta. La forma biologica della specie è emicriptofita scaposa, cioè è una pianta perennante con gemme poste al livello del suolo con fusto allungato e poco foglioso. La cicoria selvatica è progenitrice di molte varietà coltivate, come il radicchio, la catalogna, il cicorione da cui si ricavano le famose “puntarelle romane”.

La si può trovare ovunque; margini di sentieri, campi coltivati, terreni incolti, zone a macerie e ambienti ruderali, praterie ma anche aree antropizzate; inoltre essendo una pianta coltivata la si trova negli orti e colture industriali. Il substrato può essere sia calcareo sia siliceo.

Le foglie nascono in autunno, durano durante l’inverno, ma si seccano subito alla fioritura successiva, per questo è facile trovare piante con rami a soli fiori. Il colore delle foglie è verde scuro, sulle nervature possono essere soffuse di rosso. I fiori sono tetra-ciclici (calice – corolla – androceo – gineceo), pentameri ed ermafroditi; il colore dei fiori è celeste (esiste anche una variante bianca – panna quasi rosata).

Il frutto è un achenio ovoidale angoloso (quasi prismatico a 3 – 5 spigoli) e allungato, glabro a superficie liscia e terminante con una coroncina di squame; è circondato dal ricettacolo e abbracciato dalle brattee dell’involucro.

La coltivazione della cicoria non è molto impegnativa, si tratta di una specie abbastanza rustica e quindi resistente sia alle basse che alla alte temperature. Si deve vangare bene il terreno (abbastanza in profondità) e quindi aggiungere del letame e concime minerale. La semina va fatta a seconda della varietà (evitare i mesi più freddi) e durante la crescita è bene spolverare le giovani piantine con nitrato di calcio. Se si vogliono ottenere dei cespi compatti e croccanti allora si deve attivare la tecnica della “forzatura”; le radici giovani vanno tagliate e messe in cassoni al coperto sotto del terriccio umido. Dopo un mese compaiono le foglie bianche dal delicato gusto chiamato anche “Radicchio o Cicora di Bruxelles”. Se si vuole accelerare la crescita bisogna riscaldare i cassoni.

La cicoria al posto del caffe’ e’ solo uno tra i molteplici usi di questa fantastica pianta, ma si può usare in insalate o in piatti regionali tipici.

Una volta quest’erba era molto usata nella cucina italiana, soprattutto tra gli strati meno abbienti della popolazione, visto che, soprattutto in passato, cresceva spontaneamente in terreni asciutti ed incolti ed è facilmente riconoscibile, quindi poteva essere raccolta direttamente nei campi.

In cucina l’utilizzo più frequente è quello delle foglie nelle insalate (fresche o cotte). Se si fa un uso costante delle foglie fresche si ottengono anche i benefici medicamentosi descritti sopra. Per evitare l’eccessivo gusto amaro le foglie vanno raccolte prima della fioritura o eliminata la parte più interna. Comunque il caratteristico sapore rustico e amarognolo della cicoria la rende particolarmente adatta per accompagnare pietanze grasse o dai sapori delicati.
La radice della pianta se tostata diventa un ottimo succedaneo del caffè (pratica proposta a quanto pare nel 1600 dal medico e botanico veneto Prospero Alpini; inizialmente però come scopo terapeutico), utilizzo attivato sopratutto in tempi di guerra quando le importazioni del caffè subivano rallentamenti come ad esempio durante il periodo napoleonico in Europa, oppure per altri motivi in India, o ancora nella Germania Orientale del 1976 durante la “crisi del caffè”. Inoltre, sempre la radice, se bollita rappresenta una buona alternativa alimentare per il diabetico (l’inulina viene sopportata meglio dell’amido).
Anche se oggi questo alimento è messo in secondo piano, non dimentichiamoci che in passato era molto più utilizzato come ad esempio “pane e cicoria ripassata”. E’ grazie al popolo romano che, tra tutte le erbe spontanee, la cicoria è quella che maggiormente viene ricordata anche da chi in campagna non ci va mai. Anticamente esisteva il personaggio del ”cicoriao” che come mestiere raccoglieva nei campi questa pianta e poi la rivendeva nei mercati rionali. Attualmente la maggioranza dei piatti preparati con la cicoria rientrano nella categoria dei “piatti tipici regionali”; a questo proposito citiamo uno per tutti : il Martuoffolo, piatto tipico del Sannio e dell’Irpinia a base di cicoria e patate.

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