Tipica verdura orticola assai adattabile, resistente al freddo e diffusa in tutte le latitudini europee, la verza (detta anche cavolo verzotto o cavolo di Milano) appartiene, come il cavolo cappuccio, il cavolfiore, il cavolo rapa, i cavolini di Bruxelles ecc. al genere Brassica delle Crucifere.
Il suo valore nutritivo è modesto e può risultare indigesta.
Nella gastronomia lombarda ha occupato ed occupa un posto di grande rilievo, sia come contorno che come ingrediente comprimario in minestre, piatti unici e secondi piatti molto diffusi nella regione.
Il riso con le verze, le verze con le castagne e i pizzoccheri della Valtellina, la polenta con le verdure del Varesotto, il ripieno della gallina lessa.
Ma il meglio di sè la verza lo dimostra nell’unione con la carne di maiale: la cassoeula, la verzada con i salamini (che nel Mantovano prende il nome di verze imbracate) o quella con le costine e i funghi chiodini del Cremonese, dove si prepara anche un ragù di verza (la poòla) da usare con il cotechino (un sugo simile, a Sondrio, comprende anche le patate).
Nel Bergamasco si segnala la verza con la pancetta e nel Varesotto quella con la mortadella di fegato.

Presente sul mercato tutto l’anno, scarto minimo, prezzo basso, la verza è una verdura popolare che però è bene saper scegliere e cucinare.
Al momento dell’acquisto deve avere le foglie esterne color verde scuro, prive di macchie giallastre.
Le verze migliori sono quelle sode, cioè con le foglie interne, di colore più chiaro, ben compatte e chiuse a palla.
Non devono essere troppo grosse, perché risulterebbero dure e indigeste.
Prima della cottura, è necessario privarle delle foglie esterne, dure; le altre foglie, staccate una ad una, vanno lavate accuratamente sotto l’acqua corrente.

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