Tanto tempo fa, a Napoli…

La crescita demografica della cittadina partenopea, la diffusione della gramola, l’invenzione del torchio ed il mare favorirono la grande scoperta

Ma ci si è mai chiesti perché è stata la città di Napoli la patria per antonomasia della prelibata pasta?
Nel XVII secolo la crescita demografica aggravava a Napoli la situazione delle possibilità alimentari e la diffusione della ‘gramola’ e l’invenzione del torchio furono la svolta. La pasta può essere prodotta a prezzi vantaggiosi e diviene, così, protagonista delle mense popolari. E, come accadde in Sicilia ed in Liguria, la vicinanza del mare ne facilitava l’essiccazione, processo che permette la conservazione della pasta per lunghissimo tempo. Tutta la ‘napolenità’ venne fuori nel modo in cui la pasta veniva preparata: si impastava la semola con i piedi. Questo sistema non piacque a Ferdinando II, re di Napoli, che chiamò Cesare Spadaccini, un famoso ingegnere, per trovare una soluzione migliore. Fu proprio questo ingegnere che inventò la trafila al bronzo.
Continuando le scorribande in su ed in giù nella storia, con il termine maccherone , trovato già in uno scritto del Basso Medio Evo, si denominava in quel tempo ogni tipo di pasta, lunga e corta e ‘maccarones’ in Sicilia definiva le paste ripiene che oggi chiamiamo ravioli. È possibile che la pasta seccata sia di origine araba. Danno credito a questa ipotesi i nomi arabi itryia e fad attribuiti ai fili di pasta di forma cilindrica e ai ‘fidelini’.
In terre come la Sicilia e la Spagna, che hanno subito la dominazione araba, l’uso dei due termini continua, trasformati in ‘trii’, ‘fideli’ ed in ‘tria’ e ‘fidear’. Impastare la farina di grano con l’acqua ed essicarla forse fu la soluzione ideale per conservare a lungo questo alimento, altrimenti deperibile durante i lunghi viaggi delle carovane nel deserto. E dalle carovane alle navi, risolto il problema della conservazione, la pasta così trattata si diffuse per i porti del Mediterraneo.
Viaggiando a ritroso nel tempo arriviamo in epoca romana, durante la quale la pasta fresca era conosciuta ed apprezzata. Il termine antico lagano, di uso romano è ancora usato nel sud d’Italia per descrivere la ‘pasta a nastro’ , laganella o leganaca; altrove conosciuta come lasagna e tagliatella. Ne parla Orazio nelle Satire.
Trecento anni prima di Cristo, Aristofane, commediografo greco, in una descrizione di taglio gastronomico accenna ad una pasta di frumento che ricorda l’attuale raviolo. Un altro passo indietro ci porta tra gli Etruschi del IV secolo a. C. A Cerveteri, sulle colonnette che sostengono gli spioventi del tetto della ‘Tomba dei rilievi’ , sono raffigurati i vari utensili da cucina necessari per la preparazione delle lasagne.

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